Piet Keizer, il divo schivo
Febbraio 17, 2024Sta assistendo, quasi nascosto, ad una partitella tra ragazzi quando il pallone rotola dalle sue parti. Lui non lo raccoglie, anzi, lo scansa. Un gesto istintivo pressoché normale per chi non ama particolarmente il calcio, ma non da parte di chi è stato uno dei campioni più ammirati ed acclamati del fantastico Ajax che, negli anni ’70, ha conquistato ben tre Coppe dei campioni consecutive.
Trait d’union fra passato e presente
Perché lui è Piet Keizer, per gli amici Pietje, capace di prodezze tecniche memorabili al punto da dividere il pubblico del ‘De Meer’ di Amsterdam su chi fosse davvero il migliore tra lui e sua maestà Johan Cruijff. Ala sinistra del club biancorosso già prima che iniziasse la rivoluzione della storia del football targata Rinus Michels e trait d’union vivente tra un passato propedeutico ed un presente glorioso.
Forse perché più anziano di Johan di quasi quattro anni, lo hanno paragonato all’attempato dottor John Watson, complemento ideale del geniale Sherlock Holmes, l’investigatore privato generato dall’inventiva straordinaria di Arthur Conan Doyle, ma il parallelo non convince, se non altro perché, a differenza del simpatico ma ordinario medico inglese, Keizer è tutt’altro che una semplice ‘spalla’, in quanto dotato di un talento in grado di reggere il confronto con quello del leggendario compagno d’armi. Forse gli manca la stessa determinazione, quasi maniacale, di Cruijff.
Piet Keizer: il calcio come arte
Per Piet, infatti, il calcio è un’arte che va amata per se stessa, senza dover dimostrare a tutti i costi di essere il migliore. Più che Watson, è creativo e folle come Vincent van Gogh, tanto da inventare un assist sfruttando le pessime condizioni del terreno di gioco e prevedendo di far fermare il pallone in una pozzanghera, in attesa che Cruijff lo ghermisca e lo trasformi in un gol, come avviene nel match di Coppa dei campioni ’68-’69 contro il Fenerbahce, al termine del quale l’immancabile emiro del Kuwait regala a Piet il suo orologio d’oro come personale premio partita.
Per un periodo il dualismo con Cruijff si trasforma in una vera guerra, in occasione della ben nota votazione con la quale, nel 1973, lo spogliatoio ajacide assegna la fascia di capitano proprio a Keizer ed accelera la partenza di Cruijff alla volta di Barcellona.
Perché anche questo è l’Ajax di quel periodo, rivoluzionario esempio di democrazia contraria ad ogni canone fisso, non solo quello dei ruoli in campo, ma anche per quanto riguarda la leadership fuori dal terreno di gioco. In seguito, Johan accuserà Piet di aver orchestrato tutto per scucirgli il grado dal braccio, ma, al di là della facile e scontata lettura complottistica, Keizer è preferito a Cruijff non tanto perché si metta in discussione il carisma in campo di ‘Johan il magnifico’, ma per la ragione che Piet è ritenuto più rappresentativo degli interessi del gruppo, come successivamente hanno confermato anche Barry Hulshoff e Johnny Rep.
Un leader riconosciuto dal gruppo
Con lui è più facile confrontarsi e dialogare su questioni e problematiche di interesse comune, anche perché Cruijff è una stella che ama esser tale, a differenza di Keizer, che, lontano dal rettangolo verde, schiva riflettori e telecamere al punto che, quando qualcuno pensa di dedicargli un libro di poesie, acconsente solo a patto che il volume sia stampato in poche copie e senza pubblicità. Insomma, se Cruijff è il divo per eccellenza, Keizer incarna il ‘vero’ capitano e l’antidivo per antonomasia.
In fondo, quella votazione consacra il sentire diffuso di un gruppo che, nato e cresciuto con Michels, vive le relazioni interpersonali con piena consapevolezza ed autonomia di pensiero, nella convinzione che quell’epifenomeno che è il calcio ajacide sia esportabile anche al di là dell’ambito strettamente sportivo, per l’importanza preminente del collettivo rispetto alle mere individualità, la condivisione a favore di tutti dei propri talenti (straordinari o ordinari che siano), la capacità di aiutarsi reciprocamente, la duttilità nell’adattarsi alle situazioni più disparate, la ricerca costante di una soluzione utile, magari da improvvisare al momento, l’attenzione permanente sull’obiettivo finale. Insomma, col calcio si può maturare anche come uomini, essendo anch’esso, innegabilmente, attività di rilievo comunitario.
Keizer capitano e la diatriba con Michels
Piet diventa capitano perché comprende e vive alla perfezione tutto questo, da uomo schietto, che non esita a manifestare la propria insofferenza per i metodi autoritari di Michels, festeggiando il commiato dal tecnico, appena ingaggiato dal Barcellona, ballando su un tavolo. Rinus gliela farà pagare cara tre anni dopo, al mondiale tedesco del ’74, al quale Keizer partecipa praticamente da spettatore.
Ma Piet non è uno che rinnega il suo modo d’essere, come quando manda a quel paese anche Hans Kraay e, più tardi, non esita a ritirarsi dalle scene. Non è tipo da voltarsi indietro, anche per questo non si fa sedurre dal pallone che, quel giorno, carambola verso di lui, divo nascosto, convinto che è il calcio ad essere stato creato per l’uomo e non l’uomo per il calcio.
La stessa questione su chi, tra lui e Cruijff fosse il migliore, era ed è ancora un falso problema, un quesito fuorviante, dal momento che pretende di contrapporre due talenti, invece, perfettamente complementari, sia sul campo che fuori. Rappresentano due facce della stessa medaglia, più icona e stella Cruijff, più uomo squadra e capitano Keizer, poiché per ogni divo che si rispetti c’è sempre un antidivo che lo bilancia, affinché mai venga a mancare l’equilibrio. Ne è conferma lampante l’intesa che i due hanno sempre messo in mostra, si trovavano ad occhi chiusi ed ognuno dei due sapeva in anticipo cosa avrebbe pensato e fatto l’altro.
Anche per questo, quando, per l’ennesima volta, si è riproposto il quesito fallace su chi dei due fosse il più grande, lo scrittore e giornalista olandese Nico Scheepmaker ha chiosato salomonicamente “Cruijff è il meglio, ma Keizer è il migliore”. Per sostenere che entrambi erano e restano sublimi interpreti dell’arte calcistica, a cambiare radicalmente è il modo di vivere tutto ciò: divo da riflettori e lustrini Cruijff, divo schivo Keizer, per il quale le luci della ribalta possono anche spegnersi.
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.