Amos Adani, il “polacco” della Val Padana

Amos Adani, il “polacco” della Val Padana

Marzo 17, 2024 0 Di Alfonso Esposito

Anche in Italia abbiamo goduto un po’ di quella Polonia che, nel ’74, stupì il mondo del calcio. E, quanto a bellezza, non sfigurò certamente nel confronto a distanza con la rivoluzionaria Olanda di Cruijff e compagni. Un pezzetto di quella nazionale avveniristica e sbarazzina era riprodotto nel nostro campionato proprio in quegli anni, solo che pochissimi se ne sono accorti. Perché non segnava gol come Lato o non sfrecciava sulla fascia al modo di Gadocha, né incantava con la sua geometrica regia imitando Deyna.

Il ‘polacco’ di casa nostra stava tra i pali e, peraltro, non indossava sempre la casacca n. 1. Però sapeva difendere la sua porta. E non solo per questo ricordava Jan Tomaszewski, l’eroe di Wembley, che nell’autunno del ‘73 parò l’impossibile contro i padroni di casa dell’Inghilterra e, di fatto, pose le mani sue e della Polonia sulla qualificazione all’ormai prossimo mondiale tedesco.

Amos Adani emulo di Tomaszewski, o viceversa?

Già, perché Amos Adani – padano di Modena come Enzo Ferrari, Francesco Guccini e Luciano Pavarotti – ma portiere in A col Bologna, al pari di Tomaszewski dà forma allo spirito scapigliato ed anticonvenzionale dei primi anni ’70, prolungamento naturale del movimento del ’68.

E come Tomaszewski non passa certo inosservato. Se Jan si fa notare per la casacca di un bel giallo vivo – pure contro l’Italia nel match che, di fatto, sancisce l’esclusione degli azzurri dal mondiale del ’74 – Amos, dal canto suo, non è da meno, se la Panini lo ritrae anche con una maglia di un rosso sgargiante o di un azzurro intenso, in barba alla moda castigata di quegli anni che generalmente imponeva ai portieri il nero come colore di ordinanza. E non è questo l’unico strappo ai canoni del tempo, perché la sua divisa non è anonima come quella dei colleghi di ruolo, ma rigorosamente marcata Adidas e il tutto è adornato da una vistosa fascia frontale che gli frena i capelli lunghi e mossi.

Insomma, l’icona del portiere eccentrico, per non dire un po’ matto, è bella e servita. Ma Adani non è solo questo, perché il mestiere, comunque, lo conosce, se in dieci anni con i felsinei si guadagna il ruolo di titolare per almeno tre stagioni (’69-’70, ’71-’72 e ’74-’75).

Un Bologna in tono minore

Certo, il suo Bologna non è quello di Arpad Weisz che, negli anni trenta, faceva “tremare il mondo” con Andreolo, Biavati, Ceresoli, Puricelli, Reguzzoni e Schiavio o, ancora, non è quello del “così bene si gioca solo in Paradiso” che, nel ’63-’64, superò nello spareggio la grande Inter di Helenio Herrera, aggiudicandosi l’ultimo scudetto della sua storia, guidato in panchina da ‘Fuffo’ Bernardini e in campo da Giacomino Bulgarelli, coadiuvato dai vari Fogli, Haller, Janich, Negri, Nielsen, Pascutti, Perani ed anche da Tumburus, quello col nome epico di Paride.

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Nel Bologna di Amos, oltre a Bulgarelli e Perani, ormai sul viale del tramonto, si distinguono Bellugi in difesa, Pecci e Bob Vieri a centrocampo, Beppe Savoldi prima ed ‘el gringo’ Clerici poi in attacco. Insomma, per Bologna la grassa sono anni di magra e ci si deve accontentare di appena due Coppe Italia. Adani, da parte sua, concorre fattivamente alla conquista della prima, mantenendo inviolata la porta nello scontro decisivo col Torino, piegato per 2-0 tra le mura amiche con doppietta di Savoldi.

Parate spettacolari e stile antincoformista

Quando è chiamato in causa, Amos, proprio come Tomaszewski, esibisce un repertorio completo ed anche fuori dall’ordinario, perché non si limita a parare solo con le mani, ma all’occorrenza usa anche i piedi e un’agilità felina che ricorda quella del suo omologo polacco. Blocca in presa o vola verso un palo sventando il pericolo a mano aperta, s’inarca per smanacciare oltre la traversa o si piega per chiudere lo specchio della porta all’offendente di turno.

Le sue movenze sono pronte e rapide, come quando, in uno dei confronti tra Bologna e Juve, si oppone ad un perfido bolide da fuori area di Pietro Anastasi con un riflesso fulmineo, deviando con la mano destra sopra il montante un pallone che gli rimbalza davanti e che, per questo, minaccia di beffarlo. O, ancora, come quando, sempre contro la ‘vecchia signora’, ha la freddezza di non lasciare sguarnita la porta davanti ad un’incursione di Cuccureddu, ma attende il tiro di quest’ultimo per deviarlo ben oltre la traversa.

Al pari di Ulisse non si lascia incantare nemmeno da chi, come il terzino sinistro del Verona, si chiama Sirena e ci prova con un maligno rasoterra, che Adani sventa accasciandosi prontamente e respingendo col piede sinistro. Quando, poi, il Cagliari, che si accinge a diventare campione d’Italia nel 1970, rende visita al Bologna alla ventiseiesima giornata, deve accontentarsi di un laconico 0-0, perché la sua migliore occasione, un colpo di testa del centravanti Gori, è acrobaticamente neutralizzata in presa volante da Amos.

Amos Adani: un potenziale inespresso?

Perché, allora, uno così non ha sfondato? Forse per la pubalgia che, a quanto pare, lo affliggeva periodicamente. O forse perché, a quei tempi, erano sempre accompagnati da una certa diffidenza i portieri spettacolari, alla ‘giaguaro’ Castellini per intendersi, se è vero che il modello dell’epoca restava ‘SuperDino’ Zoff, ritenuto senza dubbio più affidabile per senso del piazzamento ed essenzialità nello stile.

Anche in questo il ‘polacco’ della Val Padana emula Tomaszewski, se è vero che lo stesso Jan, dopo due stagioni nel blasonato Legia Varsavia, è ceduto al meno titolato LKS Lodz, quasi come se non si credesse nelle potenzialità di quello che gli inglesi, sprezzantemente, ricordano tuttora come “un clown coi guanti”. Ma, in fondo, visto che Adani inizia la carriera almeno due anni prima di Tomaszewski, fantasticando si potrebbe ribaltare il paragone di partenza ed immaginare che, in qualche modo, sia stato Jan a trarre ispirazione da Amos e ad esaltare, sul proscenio mondiale, un’interpretazione del ruolo libera ed anticonformistica.

 

Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia.