Christian Manfredini: il Chievo dei miracoli, il Derby e il gol ai Galacticos

Christian Manfredini: il Chievo dei miracoli, il Derby e il gol ai Galacticos

Marzo 17, 2024 0 Di Philip Supertramp

Il 15 Dicembre 2001 a San Siro si presenta il Chievo Verona. Da una parte c’è l’Inter capolista di Vieri e Ronaldo, dall’altra parte c’è la Cenerentola del campionato al suo storico primo anno in Serie A. Ci prova subito la squadra di Del Neri con un passaggio di Eriberto (Luciano) fuori area per Perrotta, che sfiora di poco il palo.

Al minuto venti corner di Corini e inzuccata di Corradi che porta il Chievo in vantaggio. Cinque minuti più tardi un cross dalla trequarti di Emre carambola sui piedi di Vieri che fortunatamente trova il gol del pareggio. Ma chi crede di più nella vittoria è il Chievo, che sfrutta la velocità delle sue ali per impensierire la squadra di Cuper. Soprattutto con un contropiede portato avanti da Manfredini, che fa un cambio campo per Eriberto, il quale prova il gol dalla distanza, ma Toldo blocca senza problemi.
Dopo una sfida personale tra Recoba, su calcio di punizione, e il portiere Lupatelli con la numero 10, il gol della vittoria lo segna Marazzina, regalando i 3 punti alla squadra di Del Neri e portando il Chievo Verona in testa alla classifica della Serie A.

Abbiamo avuto la fortuna di intervistare una delle frecce di quella squadra: Christian Manfredini. Ma Christian non è stato solamente il Chievo dei Miracoli, nel suo curriculum può vantare sette anni alla Lazio, la maglia della Costa d’Avorio, un gol al Real Madrid dei Galácticos. Un gran calciatore, ma allo stesso tempo una grande persona, umile e disponibile.

Ciao Christian e grazie per il tempo che stai dedicando ai nostri lettori e alla redazione di F&L. Partiamo dagli inizi: nel 1994 con la primavera della Juventus vinci il campionato Primavera. La finale è un derby dalla doppia sfida, andata e ritorno, al Comunale. Con la numero 10 c’era un certo Alex Del Piero. Che ricordi hai dei tuoi inizi da calciatore? C’era già l’impressione che Alex sarebbe diventato una leggenda?

Sì, mi fai tornare indietro di tantissimi anni. Ricordi veramente belli, che rimarranno sempre dentro di me. Nel ’94 vincemmo il derby contro un Torino primavera forte. Ricordo Briano, Della Morte. C’erano dei giocatori veramente bravi. Vincemmo noi nel Comunale di Torino. Un derby non bellissimo sotto l’aspetto tecnico, però c’erano in campo dei giocatori che hanno fatto la storia del calcio italiano. Del Piero non giocando molto nella prima squadra venne a fare la parte finale con noi. Si vedeva che aveva qualcosa in più, aveva delle doti, delle caratteristiche e delle intuizioni superiori alla media. Però nessuno si sarebbe immaginato che sarebbe esploso così velocemente.

Il tuo nome sale alla ribalta nella stagione 2000 con il Chievo Verona di Del Neri. Due stagioni indimenticabili per tutti gli appassionati. Ci puoi raccontare qualche aneddoto? Perché pensi che poi Del Neri non riuscì a ripetersi nel corso della carriera?

Ho girato un po’ , perché ero di proprietà della Juventus e mi sono fatto un po’ di gavetta nelle serie minori. Mi hanno aiutato a crescere e a capire come funzionava il calcio e cosa dovevo fare. Fortuna volle che non andai al Crotone, la Juventus voleva darmi a loro, ma alla fine andai al Chievo. Lì trovai un ambiente giusto per me e per altri giocatori come Perrotta, Corini che erano atleti di talento che non erano riusciti ancora a sfondare del tutto.

Grazie a questo clima riuscimmo tutti a dare di più. Del Neri portò delle idee e con i giocatori a disposizione riuscì a fare qualcosa di bello e anche a distanza di anni ci ricordano con tanto affetto. Secondo me è sbagliato dire che Del Neri non è riuscito a ripetersi. Se vedi la sua carriera puoi leggere grandi squadre, tutti vorrebbero avere il suo curriculum. Ha allenato Roma, Palermo, Sampdoria, Atalanta, Juventus. Poi è vero che la carriera dell’allenatore non è facile ed è dettata dai risultati, senza i risultati vieni allontanato. Però l’importante è esserci e fare qualcosa di importante.

Il Chievo ti cede alla Lazio, ma dopo 6 mesi ti trasferisci in prestito all’Osasuna. 14 presenze e 3 gol, di cui due in Coppa del Re e una nella vittoria per 1-0 contro il Real Madrid. In coppa del Re arrivate fino alla semifinale dove perdete contro il Recreativo Huelva. Cosa conservi dell’esperienza spagnola?

Dopo i due anni al Chievo ho vissuto un’esperienza indimenticabile. In una squadra gloriosa e sicuramente superiore al Chievo. Era giusto provare a giocare in uno stadio come l’Olimpico con una curva di 15mila tifosi che gridano. È qualcosa di emozionante che mi fa ancora venire la pelle d’oca. Non giocai tantissimo i primi sei mesi e decisero di mandarmi in prestito.

All’inizio ero scettico su questa scelta, soprattutto di andare a giocare all’estero. Invece è stata un’esperienza corta, ma importante. Ho avuto la possibilità di giocare contro il Real Madrid dei Galácticos, il Barcellona, il Valencia. Mi sono divertito e mi sono arricchito anche a livello umano. Il calcio spagnolo era molto tecnico, tutti volevano giocare a pallone. Mi ricordo che prima della partita bagnavano tutti i campi perché cercavano sempre la velocità nei passaggi.

Il 7 Aprile si giocherà il derby di Roma. Sei rimasto 7 anni alla Lazio, che ricordi hai dell’atmosfera del Derby?

Il Derby non è solo una partita speciale, è la “partita”. Puoi avere 20 punti di differenza, ma in questa partita le differenze tecniche si azzerano. Dalla settimana precedente i tifosi si presentano agli allenamenti per incitarti e incoraggiarti. É un’esperienza calorosa che solo il derby ti può dare. Ogni città ha il proprio derby, ma nessuno è uguale, quello di Torino, di Genova e Roma sono diversi, la cosa che li accumula è il calore dei propri tifosi. Ho giocato due derby da titolare e sentivo che era una partita diversa, irripetibile che sempre porterò dentro, perché ho avuto la fortuna di vivere e ringrazio la vita di avermi dato questa possibilità.

Nel 2006 vieni convocato dalla Costa d’Avorio. In quella squadra giocavano calciatori del calibro dei fratelli Touré e Drogba. Il match è una sfida sotto una pioggia battente a Valladolid che finisce per 3-2 per le Furie Rosse. Com’è nata l’idea di giocare per la Costa d’Avorio?

Un’altra esperienza bella e importante. Io ho la cittadinanza italiana e c’era un momento in cui potevo essere chiamato dall’Italia. Fui chiamato qualche volta da Trapattoni che mi seguiva e mi sono divertito ad aver ricevuto la chiamata e ne ero orgoglioso, voleva dire che stavo facendo bene. Poi la cosa non andò in porto e allora il mio procuratore ebbe l’intuizione e feci il doppio passaporto, essendo nativo della Costa d’Avorio. Feci due amichevoli e quando arrivai li la squadra era piena zeppa ti campioni: Drogba, Yaya Touré e suo fratello Kolo, Eboue e Zokora. Tutti che giocavano in coppe europee, è stato un momento di scambio di culture diverse con giocatori di alto livello.

Sei stato adottato da una famiglia italiana all’età di cinque anni. Hai mai subito qualche episodio di razzismo? Pensi che in Italia ci siano ancora difficoltà ad affrontare certe tematiche?

Sono stato adottato da una famiglia di Battipaglia e la cittadina mi ha accolto stupendamente. Episodi di razzismo ci sono stati, ma niente di trascendentale. Differenze ci sono, anche se nel 2024 sono molto diminuite. Ora è pieno di ragazzini di colore nelle scuole, figli di immigrati che lavorano regolarmente. Lo sport mi ha concesso lo status di calciatore e non di persona di colore. l’Italia è abbastanza avanti, ma è comunque indietro rispetto ad altri Paesi, perché non avendo fatto i conti con il proprio lontano passato coloniale fa fatica a riconoscere le persone di colore. La situazione va molto meglio, ma non è stata superata completamente. Siamo sulla strada buona.

Sei più tornato in Costa d’Avorio? Hai seguito l’ultima Coppa e la loro rocambolesca vittoria?

Sono tornato solamente una volta in Costa d’Avorio. Non ho seguito con molta attenzione la Coppa d’Africa, sono passati con un po’ di fortuna, ma se poi vinci qualche merito ce l’hai. Una Coppa d’Africa è un risultato importante. Vuol dire che stanno facendo le cose per bene. Poi vedi i giocatori e ti accorgi che la gran parte gioca in Europa, significa che il calcio in Costa d’Avorio funziona molto bene.

Per cinque anni hai lavorato alla FIGC come responsabile tecnico dell’ area centro sud. Il movimento italiano sembra non riuscire più a trovare il “fuoriclasse”. Produciamo molti portieri e mezzali. Mancano fantasisti e bomber in grado di fare la differenza. È un problema dei settori giovanili o semplicemente un fatto ciclico?

Lavorare con la Federazione è stata una bellissima avventura. Mi hanno insegnato a lavorare in gruppo, mi hanno trasmesso le metodologie delle associazioni giovanili. Porto con me un bagaglio importante. Abbiamo delle carenze, che partono dal basso, non avendo dei centri sportivi per poter allenare i ragazzi. Mancano le attrezzature e i campi, soprattutto al sud. Abbiamo metodologie diverse, anche se nell’ultimo periodo le cose stanno migliorando.

Vedo molti giovani giocare in Serie A, anche se non riusciamo ad allinearci ai campionati esteri. Però almeno vediamo giovani in campo, non come 10-15 anni fa che non li vedevi proprio. Facciamo ancora fatica, dobbiamo cercare di rifondare il sistema a partire dalle seconde squadre. Siamo riusciti a creare le squadre femminili che prima erano carenti. Mancano ancora le seconde squadre, accorgimenti nei sistemi giovanili. Ci stiamo muovendo, forse troppo piano rispetto all’estero, ma l’importante è che andiamo avanti. Ci vorrebbero più investimenti sulle strutture e sulla formazione degli istruttori.

Come si vede Manfredini da qui a cinque anni?

Tra cinque anni mi vedo in pensione, però mi piacerebbe lavorare con i giovani in un club importante vista la mia esperienza giovanile, magari fare qualcosa per il Sud. Non per la prima fascia, generalmente i ragazzi sono seguiti. Cercare di aiutare gli allenatori e i ragazzi di seconda e terza fascia. Di avviarli alla fase migliore del calcio.

 

La redazione ringrazia Christian Manfredini per il tempo concesso e per la grande disponibilità.

Intervista a cura di Philip Supertramp – Instagram @ilsignoredellaliga

Immagine di copertina tratta da Wikipedia: Christian Manfredini al Genoa nella stagione 1999-2000.