Mario Kempes, un eroe internazionale
Marzo 23, 2024Avete mai visto un “criollo” galoppare con una palla al piede? Io sì, si chiamava Mario Alberto Kempes “El Matador”. La sua esultanza tipica con le braccia alzate al cielo e la sua corsa potente e indomabile, con la folta chioma al vento, hanno fatto sognare due popoli: quello argentino e quello valenciano.
Questa storia non avrebbe potuto avere inizio se Bernardino Perez Elizarán, per tutti “Pasieguito”, non si fosse innamorato attraverso le foto e le storie di un giovane argentino su “El Grafico” (famosa rivista sportiva argentina). Era l’estate del 1976, Mario Alberto Kempes nell’ultima stagione aveva segnato 25 gol in 25 partite con il Rosario Central e ne aveva già disputate altre con la maglia dell’albiceleste, come nel Mondiale del 1974 a diciannove anni, o come nel maggio del 1975 a Wembley contro l’Inghilterra, in cui aveva segnato una doppietta.I
Mario Kempes fa rima con “gol”
In Argentina era già di moda il motto “no diga gol, diga Kempes” e i tifosi del Central l’avevano soprannominato “el Matador”. Però, in Europa si sapeva poco o niente di lui.
Le trattative per l’acquisto di Kempes furono lunghe e piene di ostacoli. Lo stesso “Matador” smise di allenarsi per forzare la sua cessione, e ci fu bisogno di un referendum (che venne truccato) tra i vari soci del club per far sì che si potesse concludere l’affare.
Finalmente, il Rosario Central e il Valencia si misero d’accordo per 30 milioni di pesetas e il 12 agosto Pasieguito atterrava all’aeroporto di Barajas insieme al suo nuovo acquisto, e, come Kempes, racconterà più avanti in un’intervista alla rivista spagnola Libero: “non sapeva se fossi destro o sinistro. Mi conosceva per la rivista El Grafico, però non aveva visto nemmeno un mio gol”.
L’ultimo ostacolo, non meno bizzarro dei precedenti, fu quando al momento delle visite mediche di rito gli trovarono con una radiografia un punto nero nello stomaco. I dottori, preoccupati, lo sottoposero ad altre analisi e si scoprì che il punto non era altro che il pallino con cui era stata cacciata una pernice, che Kempes aveva mangiato a Motilla de Palancar, durante il tragitto Madrid-Valencia.
Quattro giorni più tardi, davanti a 40000 tifosi, “Marito” esordiva “obbligato” nel trofeo “Taronja” contro il CSKA Mosca. L’attaccante di Bell Ville era ancora scombussolato dal viaggio, non si era ancora ripreso dal jet lag e da due mesi che non si allenava. La partita finì 2-2 e per Kempes fu un vero supplizio per i suoi, con passaggi e gol sbagliati, e il rigore decisivo tirato alle stelle.
Come canterà, però, qualche anno più avanti la band “La gran esperanza blanca” , dopo quella partita Kempes per vari anni non sbagliò più un gol. Il gruppo valenciano decise di scrivere una canzone dal nome “Nostalgia de Bell Ville” sul proprio idolo e il testo inizia ricordando quella sera di metà agosto: “Mario tira e sbaglia, sbaglia e tira e continua a sbagliare…nessuno sapeva che avevamo di fronte al grande Mario Alberto Kempes”.
La canzone continua “come sembra lontana quella notte del ’76. Coppa, Coppa delle Coppe, Pichichi e Mondiali. Il tempo ci ha insegnato a ricordarti con affetto, per sempre Mario Kempes, Matador”.
Difatti, dopo il trofeo Taronja, all’esordio in Liga contro il Celta Vigo il Valencia vinse 2-0 e Kempes fu autore di una doppietta. Saranno le prime due delle 24 reti che gli consentiranno di vincere il trofeo Pichichi. Al secondo anno si ripeté, diventando addirittura capocannoniere con 28 gol.L
Il trionfo ai Mondiali del 1978
Le due ottime stagioni nella capitale del Turia non furono indifferenti al CT Menotti, che, nonostante avesse deciso di convocare per il Mondiale del ’78 solamente giocatori che stessero giocando in Argentina, fece un’eccezione per “Marito”.
Come cantò Ruben Blades nel 1984 e poi Maná in “Desapariciones”: “Che qualcuno mi dica se ha visto il mio sposo chiede la donna, si chiama Ernesto X e ha quarant’anni”.
Nel 1978 in Argentina si stava vivendo un ambiente di terrore: il generale Videla da due anni aveva instaurato una dittatura militare che andò avanti fino al 1983. In quegli anni sparirono fino a 30mila persone, tra cui 5mila italiani di prima o seconda generazione. Il mondiale giocato in casa per il dittatore era un’opportunità per ripulire l’immagine del Paese e, mentre il popolo soffriva di fame e veniva torturato, Videla spese fino a 750 milioni di dollari per rendere l’Argentina il miglior anfitrione possibile.
Potete capire che per l’Albiceleste vincere il mondiale diventò un obbligo, cosa che riaffermò il presidente, quando, qualche giorno prima dell’inizio del torneo, invitò la squadra per un “discorso d’incoraggiamento”.
Kempes, dopo una prima fase a gironi senza reti, riuscì a mettere a segno due doppiette nel 2-0 contro la Polonia e nel famoso 6-0 contro il Perù. Il 25 giugno nel Monumental di Buenos Aires si giocava la finale contro l’Olanda. Di quella partita il grande eroe fu Mario Alberto Kempes, che mise a segno prima l’1-0 e, nei tempi supplementari, il 2-1 decisivo, prima che Bertoni realizzasse il definitivo 3-1. Alla fine dei 120 minuti Kempes venne premiato come capocannoniere e miglior giocatore del torneo.
E pensare che Mario sarebbe potuto non andare al mondiale. Ad aprile, in una sfida vinta 1-0 dal Valencia, con ovviamente un gol suo, contro lo Sporting Gijón, Mario subì un infortunio al ginocchio destro. Secondo i medici del club, l’argentino andava operato, ma Mario sapeva che con l’operazione si sarebbe perso il mondiale in casa, dopo due mesi.
Decise di andare in una fattoria sperduta nell’Horta della comunità valenciana da un tal “Pepe”, che si definiva uno stregone.
Il signore dalle mani grosse e dalle dita corte e cicciottelle gli fece un massaggio e gli ordinò di tornare il giorno seguente e di non allenarsi. Kempes, dubbioso, ubbidì e all’indomani Pepe gli toccò l’articolazione, gli fece un altro massaggio, e gli disse: “Domani ti alleni, mettiti una benda, non troppo stretta sotto il ginocchio affinché te lo sorregga”. Il giorno dopo, sotto gli occhi di tutti i suoi compagni che gli davano del “loco”, tornò ad allenarsi come se nulla fosse e senza nessun dolore.
Il ritorno a Valencia del Matador
La stagione successiva per il campione del mondo non fu delle migliori: le gambe pesavano ancora dopo il mondiale vinto e andò a segno “solo” 13 volte, ma allo stesso tempo la sua voglia di nuovi trofei aprì un’epoca d’oro per il club.
Il 30 giugno del 1979 nel Vicente Calderón, davanti a 70000 tifosi, con una doppietta di Kempes stese il Real Madrid e il Valencia vinse la sua quinta coppa del Re. L’anno successivo il Valencia raggiunse un’altra finale, questa volta europea, in Coppa delle Coppe contro l’Arsenal, a Bruxelles. La partita finì 0-0 e la squadra allenata da Di Stefano vinse ai calci di rigore.
Alla fine di quell’anno il Valencia vinse la Supercoppa contro il Nottingham Forest di Brian Clough grazie al gol in trasferta di Felman (2-1), mentre al Casanova finì per 1-0 con gol di Morena.
Quella fu l’ultima coppa che Mario sollevò con il Valencia e, da quel momento, iniziò il declino del campione che avevamo potuto ammirare.
Nell’ottobre di quell’anno il Valencia giocò una sfida della Coppa delle Coppe in trasferta a Jena. Quella sera nella repubblica democratica tedesca la squadra di Pasieguito non perse solamente la partita, ma anche il suo più grande campione. Al minuto 15 un’entrata di Weise fece cascare in maniera scomposta il Matador, a cui, cercando di attenuare la caduta mettendo le mani avanti, uscì la clavicola destra. Da quella sera Kempes continuò a giocare con bendaggi e infiltrazioni e, come racconta ancora: “Non ho mai recuperato del tutto. Ogni volta che protestavo o facevo una finta mi fuoriusciva. Io me la rimettevo a posto e ripartivo”.
Alla fine di quella stagione Kempes venne ceduto al River Plate, che aveva bisogno di una stella di livello mondiale, per poter rispondere all’acquisto del Boca Juniors di Maradona. El Matador si ritrovò come allenatore Di Stefano e riuscì a vincere il campionato argentino. In quell’anno, però, la guerra delle Malvinas tra Argentina e Regno Unito aggravò la situazione nel Paese e il River non poté pagare i 300 milioni di pesetas che aveva promesso al Valencia. L’attaccante dovette quindi tornare nella capitale del Turia.
Alla prima del campionato 82-83 Kempes si ritroverà contro Maradona, questa volta nel Barcellona. Il Valencia vinse per 2-1, ma fu una delle peggiori stagioni sia per il calciatore sia per la squadra che rischiò la retrocessione fino all’ultima giornata. Nella stagione 83-84 la società decise di cambiare allenatore e arrivò Paquito, che aveva come primo obbiettivo quello di ritrovare a Kempes.
L’argentino alla seconda giornata segnò una doppietta al Valladolid e alla terza giornata nel Santiago Bernabéu si ripeté su rigore. Peccato che quel 10 ottobre si infortunò alla spalla per la terza volta in quattro anni. Da quel momento non riuscì più a recuperare e, a fine stagione, al termine del suo contratto lasciò il Valencia.
Quell’estate si concluse la storia d’amore tra il club e il calciatore, ma non quella tra Kempes e la città.
L’argentino aveva 29 anni ed erano varie le squadre che lo cercavano: il Levante, il Grasshopper e il Tottenham del suo amico Ardiles. Sembrava tutto fatto con i Los Angeles Aztecs, ma anche con il club statunitense non riuscì a trovare un accordo definitivo.
Nel frattempo, Mario decise di rimanere a Valencia con sua moglie Julia incinta del terzo figlio e passava le giornate andando a correre per la città e allenandosi come poteva, aspettando un’offerta interessante. Questa arrivò, ma fu del tutto inaspettata: Manolo Martinez e Miguel Ygueravide, presidente e allenatore dell’Autocares Luz, si presentarono a casa sua, un po’ per scherzo un po’ per pazzia, proponendo a Mario di tornare a giocare, ma non sui campi di calcio, bensì quelli di futsal.
Difatti l’Autocares Luz era una storica squadra di calcio a cinque di Valencia e non aveva molto da proporgli, se non un allenamento in compagnia, uno sport simile al suo e la metà degli incassi delle partite che si giocavano in casa alla “Fuente di San Luis”.
Kempes accettò e alla prima partita contro l’Orereta, invece dei soliti 400/500 tifosi ci furono quasi 6000 persone pronte ad ammirare nuovamente il loro idolo.
Ygueravide si vergognava a dargli consigli e allora andò da lui e gli disse: “Senti Mario ti do un solo consiglio: a calcio a cinque si difende tutti, però stai attento a non entrare subito sull’avversario sennò rimaniamo in inferiorità numerica”, l’attaccante lo guardò, acconsentì e gli rispose “e in attacco?”. Ci fu un silenzio e poi: “In attacco fai quello che vuoi”.
Kempes non deluse allenatore e tifosi, la partita finì 2-2 e il bomber realizzò entrambi i gol della propria squadra.
L’esperienza durò solo pochi mesi visto che a Dicembre accettò l’offerta dell’Hercules di Alicante, ma i suoi compagni ancora oggi si ricordano dell’autunno dell’84. Soprattutto Jorge Solaz, portiere della squadra, che racconta: “Tirava delle autentiche bombe”, “ogni volta che colpiva il palo, la porta si spostava di qualche metro”.
La numero 10 dell’Argentina è, insieme a quella del Brasile, la maglia più pesante che si possa indossare. Sulle spalle hai un intero Paese. Solamente tre persone sono riuscite a vincere un Mondiale: nel 2022 Messi, nel 1986 Maradona e nel 1978 Mario Alberto Kempes, conosciuto da tutti come “El Matador”.
Testo a cura di Philip Supertramp – Instagram @ilsignoredellaliga.
La redazione ringrazia i gestori dell’account Instagram “No diga gol diga Kempes” per la collaborazione nella ricerca di fonti e informazioni preziose.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.