Giochisti vs risultatisti: il nuovo duello calcistico italiano

Giochisti vs risultatisti: il nuovo duello calcistico italiano

Aprile 20, 2024 0 Di Luigi Ottobre

Tutta colpa di Josep Guardiola. Sì, perché quando il suo Barcellona ha illustrato e depositato al mondo quel modo di intendere il calcio definito con il nome di Tiki-taka, insinuandosi di diritto nella storia delle squadre indimenticabili dello sport – come il Milan di Sacchi o l’Ajax di Cruijff o i Bulls di MJ, tanto per citarne alcune – la naturale conseguenza è stata un’overdose di suoi imitatori, seguaci e sostenitori.

Ma si sa, le imitazioni non sono conformi all’originale, differiscono dal suo creatore, per cui se si escludono rarissimi specifici episodi che devono godere di particolari caratteristiche, escluse le quali tutto svanisce – il Napoli di Sarri, per intenderci – chi ha provato a raggiungere i suoi traguardi applicando le stesse idee pur trovandosi in contesti diversi, ha poi dovuto fare i conti con la realtà dei fatti. O meglio, dei risultati.
Ovviamente Pep non ha colpe, è già insignito del titolo di uno dei più grandi allenatori della storia. Piuttosto è vittima di un sentimento di risentimento da parte di chi vede il calcio in maniera diversa, diametralmente opposta, che lo accusa di aver generato indirettamente una schiera di emulatori che ne ha esaltato i concetti, andando però oltre le reali condizioni che certe teorie richiedono e che solo il suo fondatore è in grado di creare. Guardiola, innovatore e vincente, fa storia a sé.

Così il guardiolismo ha finito col produrre paradossalmente effetti indesiderati, quali il dogmatismo, l’estremismo, la mitizzazione.

Guardiola al Barcelona B e la sua prima stagione da allenatore

L’essere dogmatici ha portato a considerare un unico e solo modo di intendere il pallone, senza varianti. Per cui una volta saltata la perfezione dei meccanismi non si hanno altri mezzi per far fronte all’imprevisto.

L’estremismo si basa sul perseguimento di idee anche quando il momento chiederebbe buon senso. L’introduzione, ad esempio, del coinvolgimento del portiere nella fase del palleggio, ha condotto all’attuale moda della costruzione dal basso che, secondo alcune statistiche, porterebbe più benefici rispetto a situazioni negative. Saltata la prima pressione – dicono – è più semplice creare situazioni da gol. Ma nel calcio, i numeri – dunque le statistiche – non hanno tutti gli stessi valori. Il 70 o 80% di possesso palla non vale quanto il numero di tiri in porta, quindi della possibilità di vedere la rete gonfiarsi. Gli unici numeri che contano nel calcio sono quelli della classifica, che determina vincitori e vinti. Ecco quindi che è possibile assistere, di partita in partita, a errori di portieri o difensori in fase di costruzione che finiscono di condizionare negativamente una partita, quando un bel lancio in avanti potrebbe risultare più efficace.

La mitizzazione infine, è il sostegno a prescindere dalle conseguenze. Sarà la simpatia, sarà la benevolenza di penne amiche, il solo fatto di proporre un calcio che oggi appare come moderno rende un allenatore automaticamente un predestinato. Pazienza, poi, se le bacheche sono ancora vuote e lontane dal sostenere esami atti a comprovare le qualità che solo determinate panchine possiedono.

Ma, come per ogni cosa capace di generare un seguito – con i suoi pro e i suoi contro – esiste anche in questo caso una sorta di campo largo d’opposizione, che trova espressione nella “coalizione dei risultatisti.” A rappresentarli la filosofia un tempo trapattoniana del catenaccio e che oggi ha trovato la sua concreta evoluzione nel cortomusismo allegriano.

Non importa il mezzo, quanto il fine, ovvero i 3 punti. Brutti, sporchi, cattivi ma vincenti.
In mezzo, tra la due correnti, il vuoto: non c’è spazio per un punto comune in un paese che da sempre vive di compromessi. Nel ricercarne il motivo, sembra quasi che possa trattarsi di una questione socio-culturale che affonda le sue radici nella storia del nostro paese.

Una nazione perennemente divisa sin dalla caduta dell’impero romano d’Occidente e rimasta tale, con i suoi forti campanilismi, anche dopo l’unità del 1861, sente necessariamente il bisogno di schierarsi in maniera manichea. Una continua scelta tra guelfi e ghibellini. E nella società odierna il desiderio di primeggiare e di apparire come il possessore dell’unica verità porta per forza di cose al dileggio del pensiero opposto. Per cui ognuna delle due parti ha la convinzione di essere nel giusto e intellettualmente superiore.

Un’analisi che prova a spiegare perché ci debba essere per forza una polarizzazione – non solo nel calcio – delle varie posizioni. Chi ha stabilito che esiste una definizione oggettiva di bel gioco? Chi ha determinato qual è la filosofia corretta per perseguire il successo? Chi ha deciso che la propria visione delle cose sia quella giusta? La risposta è identica per tutte le domande: nessuno. Perché non bisogna per forza scegliere tra il bel gioco e il risultato, perché è possibile gradirli entrambi e, soprattutto, si può anche apprezzare chi è in grado di farli coesistere.

Il calcio è una forma d’arte e in quanto tale capace di generare emozioni soggettive, allo stesso modo di un’opera di Michelangelo o di un libro di George Orwell, ma una composizione musicale non deve per forza essere considerata bella solo perché si tratta di Mozart o solo perché qualcuno in passato ha deciso che ogni quadro di Picasso sia un capolavoro. E così c’è chi prova gioia nel vedere un perfetto possesso palla, chi si esalta nell’assistere a ripartenze, verticalizzazioni e gegenpressing e chi trae godimento in una squadra capace di essere solida, di soffrire e di colpire al momento giusto (come ha dimostrato il Madrid di Ancelotti contro il City di Guardiola solo pochi giorni fa). Il punto comune si troverà solo quando si ritornerà a rispettare idee e gusti diversi dai propri.

 

Luigi Ottobre è laureato in Scienze del Turismo. Giornalista pubblicista dal 2019, ha scritto per il portale “Il Mio Napoli” ed è stato responsabile della sezione sport di GiornaleNews di Maddaloni, per il quale ha seguito il Napoli anche dal Maradona. Appassionato di tennis, pallavolo e Moto GP, fa parte della famiglia d F&L dal 2024.

 

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.