Zaire 1974: la mancata profezia Panini

Zaire 1974: la mancata profezia Panini

Aprile 22, 2024 0 Di Alfonso Esposito

Come tanti, anche io, che avevo appena sei anni, celebrai il rito irrinunciabile di acquistare e completare l’album delle figurine Panini per il mondiale tedesco del ’74. Che, per me, era il primo e, perciò, volevo essere preparato a seguirlo come si doveva. La grande sorpresa fu quella di scoprire che, per Australia, Haiti e Zaire, le adesive previste erano soltanto sei. Ci rimasi male, mi sembrava un torto palese, non giustificato dal fatto che, all’epoca, a disputarsi la fase finale erano solo in 16 – cosa inimmaginabile per il calcio-business di oggi… – e che le tre nazionali ricordate erano le ‘cenerentole’ della competizione, rappresentanti di un calcio povero e non evoluto – rispettivamente quello asiatico-oceanico, centroamericano ed africano – quindi era già molto se partecipavano e non potevano pretendere di più, nemmeno a livello di conoscibilità dell’immagine. Davvero altri tempi.

A colpirmi maggiormente furono le figurine dello Zaire, per la divisa da gioco ufficiale, visibile per intero nella foto di squadra nel suo colore verde, con l’immagine della testa di un leopardo impressa in pieno petto.

Già, il leopardo. Figlio della rivoluzione culturale imposta dal dittatore Mobutu che, una volta preso il potere con un colpo di stato teso a rovesciare le istituzioni democratiche nel 1965, aveva deciso di cambiare tutto, partendo dal nome stesso del Paese, la Repubblica Democratica del Congo (nota anche come ex Congo belga) divenuta, dunque, Zaire, in nome di quell’autenticità africana propagandata massicciamente dal nuovo regime. Pure il simbolo della nazionale, strumentalizzata anch’essa per scopi di proselitismo, subì la stessa sorte, il vecchio leone cedeva il passo ad un minaccioso leopardo e sulla casacca ufficiale era possibile leggere il soprannome ‘leopards’ in bella mostra.

Le scelte poco profetiche della Panini per la nazionale dello Zaire 1974

Come detto, la Panini ne scelse solo sei: il portiere Mwamba Kazadi, il difensore Tshimen Bwanga, i centrocampisti Mafu Kibonge e Mantantu Kidumu, le punte Etepe Kakoko – chissà perché mio idolo assoluto insieme a Sanon di Haiti – e Maku Mayanga. Erano loro i predestinati, gli alfieri eletti per dare visibilità ad una nazionale che, d’accordo, si era appena aggiudicata la Coppa d’Africa, ma restava un’illustre (semi)sconosciuta.

Eppure, nella sua scelta chi aveva progettato l’album aveva, comunque, fatto cilecca, per almeno due motivi. Il primo era legato al nome di Pierre Mulamba Ndaye, meglio noto come ‘mutumbula’, ‘l’assassino’. Era stato lui a trascinare a suon di gol (ben nove!) i compagni alla conquista dell’alloro continentale. Eppure, non figurava tra i sei che la Panini riteneva degni di apparire nella raccolta dedicata al mondiale. L’altro ‘latitante’ era Mwepu Ilunga, difensore che, per un destino bizzarro, sarebbe diventato il più noto tra i calciatori zairesi partecipanti a quella spedizione.

Un girone impossibile

Gli auspici della vigilia, per la selezione allenata dal c.t. jugoslavo Vidinić, sono, a dir poco, nefasti: il sorteggio colloca gli africani nello stesso girone del Brasile autentico – orfano di Pelé, ma pur sempre detentore del titolo – e del ‘Brasile d’Europa’, la Jugoslavia di Džajić e Šurjak, con la Scozia del trio terribile Dalglish-Jordan-Law a completare il lotto. Tutti sanno come andò a finire: dopo un dignitoso esordio per 0-2 contro gli scozzesi, lo Zaire è seppellito sotto la valanga di un impietoso 0-9 dagli jugoslavi, una goleada record che, per differenza reti, sarà eguagliata solo dal 10-1 col quale, otto anni dopo in Spagna, l’Ungheria travolgerà El Salvador.

Peraltro, nel corso del match con i ‘plavi’ il portiere Kazadi, dopo tre gol incassati in soli diciotto minuti, è sostituito da Tubilandu, secondo quanto si tramanda per imposizione di Mobutu in persona, ma, appena entrato, il dodicesimo è trafitto dalla quarta rete e, alla fine, ne conterà altre cinque alle sue spalle.

Esultanza di Josip Katalinski – e disperazione del secondo portiere Tubilandu, appena entrato – per il quarto gol al 22′ nella partita Jugoslavia – Zaire 9-0 (Wikimedia Commons)

La fragorosa debacle fa infuriare il dittatore, che accusa il tecnico Vidinić di aver agevolato a bella posta i compatrioti e i giocatori di aver colpevolmente disonorato l’intera nazione, minacciandoli nel caso di un bis nell’ultimo incontro col Brasile.

Nella sua ‘generosità’ Mobutu concede loro di uscire dal campo sconfitti, e senza conseguenze per la loro integrità fisica, solo con un passivo di tre reti, quante servono al Brasile per qualificarsi, visto che i ‘verdeoro’, dopo due turni, inseguono ad un punto di distanza Jugoslavia e Scozia, appaiate a quota tre, ma, nell’ipotesi di arrivo a pari punti con gli scozzesi, hanno la necessità di superare il +2 di differenza reti dei rivali. Cosa facile in teoria, ma non proprio semplice in concreto, dal momento che, incredibile a dirsi, gli uomini di Mario Zagallo sono reduci da due scialbi 0-0.

Rivellino, il campione brasiliano che sbarcò in Arabia Saudita

Così si arriva all’ultima performance per gli zairesi, spaventati più dalle intimidazioni del loro tiranno che dal blasone degli avversari. E, a pochi minuti dal 90’, il Brasile vince proprio per 3-0 e ha la possibilità di calare il poker sfruttando una punizione dal limite. Per i ‘leopardi’ sarebbe la fine, in tutti i sensi.

Se ne incarica lo specialista Rivelino e, mentre l’arbitro Rainea redarguisce la barriera degli zairesi, visibilmente nervosi, intimando loro di rispettare la distanza canonica dal punto di battuta, dalla fila si stacca proprio il difensore Mwepu Ilunga. Ed è in questo momento che, a modo suo, diventa una leggenda. Perché corre veloce incontro al pallone e lo calcia lontano, quasi colpendo un avversario, che deve abbassarsi per non essere centrato in pieno viso. 

La leggenda della punizione al contrario di Ilunga: il simbolo dello Zaire 1974

Raccontato così, l’episodio assume i contorni del ridicolo: la ‘punizione al contrario’, com’è passata alla storia, per anni è stata presentata come esempio della dabbenaggine di chi nemmeno conosceva le regole del gioco. Bisognava attendere le parole pronunciate in seguito dallo stesso protagonista per capire che l’arcano, buffo quanto si vuole, in realtà nascondeva una motivazione molto più seria, risalente proprio alle minacce di morte, nemmeno tanto velate, perpetrate dallo stesso Mobutu e rivelate senza tanti giri di parole da Mwepu.

Quel calcio rabbioso alla sfera di cuoio, per alcuni, rappresentava la ribellione del giocatore all’atteggiamento dispotico del dittatore del suo Paese, ma, più plausibilmente, altro non era che un tentativo, per quanto incredibile e disperato, ma comunque riuscito, di allentare la tensione del momento e deconcentrare Rivelino. 

Al di là di questo, la favola triste dello Zaire, dopo anni, mi ha fatto comprendere almeno una piccola verità: nemmeno le figurine Panini – che, al pari dell’almanacco del calcio della stessa casa editrice, tuttora ritengo il più autorevole dei testi ‘sacri’ per i calciofili seri e preparati – hanno spirito profetico. Altrimenti non si spiegherebbe perché, tra le sei immagini raffigurate in quell’album, mancavano proprio quelle del bomber Ndaye e di Ilunga, autentico ‘uomo del destino’, che, nel suo piccolo, spazzò via il rischio di una ritorsione in patria tanto esemplare quanto folle. Perché, per quanto possa diventare strumento di propaganda, il calcio dovrebbe pur sempre rimanere quello che, per sua natura, è: soltanto un gioco. 

 

Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.