Guti e l’arte dell’assist
Maggio 4, 2024“Está solo, Guti, está solo….goooool, Dios mío, gol, Dios mío, qué bárbaro, qué bestia”…
José María Gutiérrez Hernández è stato uno degli ultimi pittori calcistici. In un mondo dove il calcio è sempre più schematizzato, dove si ricerca sempre più il passaggio semplice al compagno invece che un colpo geniale e imprevedibile, è sempre più difficile trovare quadri come il “Taconazo de Dios” che disegnò il ragazzo di Torrejón allo stadio Riazor per Benzema.
Guti entra nel vivaio del Real Madrid a nove anni e compie tutta la trafila nei blancos, fino a quando, nel 1995, Vadano lo promuove in prima squadra. Nella città sportiva tutti rimangono fulminati dal ragazzino dalla folta chioma bionda e si chiedono: “Quién es ese chaval que se parece a Redondo?”.
A questa domanda risponderà il diretto interessato: “L’unica cosa che ho in comune con Fernando è il taglio di capelli”. Difatti, Guti in quel momento è una seconda punta ed è un giocatore più offensivo rispetto al “Principe”.
Insieme a lui cresce Raúl. Il numero sette esordisce, sempre con Valdano, un anno prima, ed entrambi rimarranno a Madrid fino all’estate del 2010. Se Raúl è un instancabile lavoratore, cinico marcatore di reti e perfetto esempio del madridismo, Guti rappresenta il genio, il bello, il calciatore bohémien amante della notte e della bella vita. Questo però farà sì che, mentre Raúl fin da subito si dimostrerà un giocatore imprescindibile di quell’epoca merengues, Guti dovrà aspettare il suo momento.
Il centrocampista con Capello e Heynkes spesso siede in panchina, con Hiddink vede aumentare il suo minutaggio, ma solo con l’arrivo di Del Bosque, suo allenatore già nelle giovanili, diventa un giocatore importante.
Soprattutto nella stagione 2000-01, quando con un infortunio di Morientes, il numero quattordici viene spostato in attacco e in 32 partite segna 14 gol. Nella stagione 2001 con l’arrivo di Zidane perde nuevamente il posto e torna a essere il “dodicesimo uomo” o il “ventiminutista”, quel giocatore che serve per inventare un passaggio nel momento del bisogno.
Fatto sta che per la terza finale di Champions (Amsterdam, Parigi e Glasgow) non gioca nemmeno un minuto.
Nella stagione 2003 con l’arrivo di Queiroz in panchina e la partenza di Makelele e Flavio Coincencao, il Real Madrid si presenta ai nastri di partenza con un 4-2-3-1 molto offensivo con Beckham e Guti mediani, Zidane, Figo e Raúl sulla trequarti e Ronaldo prima punta.
Dopo un buona prima metà di stagione, il Real Madrid esce in Champions League contro il Monaco dell’ex Morientes e arriva quarto in Campionato.
Con l’addio di Zizou nel 2006, Guti torna al suo ruolo più congeniale, la seconda punta, e con il ritorno di Capello in panchina è il cervello della squadra. Alla trentatreesima giornata la classifica recita: Barcellona 62, Siviglia 61 e Real Madrid 60.
Il Barça il sabato vince 0-2 contro la Real Sociedad con gol di Iniesta ed Eto’o e vola a +5 dai merengues. La domenica al Santiago Bernabéu arriva il Siviglia che sul filo del primo tempo va in vantaggio con un gol di Maresca. L’allenatore italiano, a inizio ripresa, toglie Miguel Torres e Raul, per Helguera e Guti. Il fantasista, dopo tre minuti, inventa un passaggio meraviglioso per Van Nisterooy in mezzo alle gambe “sevillistas”.
Più tardi, ferma il tempo e manda Robinho in porta con un passaggio filtrante tra due difensori avversari. Successivamente Guti apre per Sergio Ramos che tira, Palop para, ma sul rimbalzo Van Nisterooy segna la doppietta.
Nel finale Chevanton segnerà l’inutile 3-2.
La giornata seguente Guti parte titolare contro l’Espanyol e a fine primo tempo gli avversari sono in vantaggio per 3-1 con una tripletta di Pandiani. Lo spagnolo è impalpabile e negli spogliatoi viene sostituito per Reyes. Questo era Guti, un artista incostante nel mondo merengues.
Nel secondo tempo il Real Madrid con una “remuntada” firmata Raul, Van Nisterooy, Reyes, aggancia il Barcellona, che nel frattempo pareggia con il Betis e non molla più la vetta fino alla fine del campionato.
Probabilmente per Guti è la stagione 2007-08 con Schuster in panchina a risultare la migliore: il ragazzo di Torrejón in tutta la stagione mette a segno 18 assist ed è l’artefice insieme al suo collega Raul di uno splendido 7-0 al Real Valladolid. Entrambi segnano una doppietta e, per di più, il centrocampista realizza un doppio assist.
La stagione 2009/10 è l’ultima con la maglia del Real Madrid, ma il “rubio” non lascia la numero 14 blanca prima della sua ultima opera d’arte.
Il 30 Gennaio la squadra allenata da Manuel Pellegrini vola a La Coruña su un campo ostico come il Riazor, dove non vince da 19 anni. Il Real Madrid va in vantaggio con un colpo di testa di Granero. Poi, nel miglior momento del Depor, parte un contropiede dei merengues. Kakà con un passaggio filtrante mette Guti da solo davanti al portiere. Faccia a faccia con Aranzubia, sorprende tutti con un geniale colpo di tacco all’indietro per Benzema, che segna il raddoppio. Una pennellata luminosa in mezzo alla Notte Stellata del Riazor.
Anni dopo proprio Benzema, all’ultima stagione con il Real Madrid, ha cercato di ricreare il “taconazo de Dios”, ma Asensio non ha saputo approfittarne. Cosa che invece precedentemente Redondo, anche lui alla sua ultima stagione con i merengues, era riuscito a fare contro il Manchester United con gol di Raúl.
Forse perché, alla fine, non era così tanto diverso dal Principe: un taconazo, per l’eternità.
Testo a cura di Philip Supertramp – Instagram @ilsignoredellaliga.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.