
Granata 75: l’eredità del Grande Torino
Maggio 5, 2024È un mattino fresco e umido di metà febbraio, quando il mio amico Roberto si offre di “scarrozzare” me e tutta la famiglia a Superga.
Da vero maestro di cerimonie, Roberto, che di mestiere fa il giornalista e che di Toro e Boca (in particolare dei secondi) è appassionato tifoso ed esperto, ci racconta tutto ciò che quella collina rappresenta per lo sport, per il calcio italiano e per la storia.
Una sciagura, quella che interruppe le vite e il dominio degli artefici del Grande Torino, che ha cambiato per sempre la percezione e gli equilibri della città e della Serie A.
Il 4 maggio, per tutti coloro che amano il calcio, sarà sempre da ricondurre a quel 1949. Settantacinque anni più tardi, nel mio piccolo di aficionado di questo gioco e tifoso del Napoli, posso quantomeno ricondurre questa ricorrenza anche al terzo Scudetto della mia squadra del cuore. Che, devo dire, ha molti punti in comune con il Torino, ma un passato recente e un presente di certo diversi.
Il Torino non vince lo Scudetto dal 1976. Ed è ovvio che ci sia un prima e un dopo quel giorno del 1949, non potrebbe essere altrimenti. Tanto più che, dei 7 Scudetti torinisti (5 del Grande Torino), il trionfo di Mister Radice, dei Gemelli del Gol Graziani e Pulici, di Sala, Castellini e Pecci (gli ultimi due avrebbero fatto da trait d’union col Napoli di Maradona) rappresenta l’unico del post Superga (e uno solo l’avevano vinto prima, nel 1927-28 – oltre ad un altro revocato per il caso Allemandi), con la Juventus che dovette giocare un campionato quasi perfetto per scucire lo Scudetto dalle maglie Granata nella stagione successiva.
A Superga ci accoglie la solita foschia che non permette di apprezzare al meglio la bellezza del panorama con vista sulle Alpi. Dopo una visita alla Basilica, il pellegrinaggio conduce lungo il costone, fino al luogo dello schianto che rese Valentino Mazzola e compagni per sempre giovani e immortali.
Superga
C’è sempre qualcuno a rendere omaggio agli eroi caduti a Superga. Non la folla del 4 maggio di ogni anno, ma tutti coloro che venerano il dio pallone e si recano a Torino la considerano una tappa imprescindibile. D’altronde, se il calcio è il culto pagano per eccellenza, Superga è la sua Gerusalemme.
Le foto, le targhe, le bandiere, le sciarpe di ogni squadra, i gagliardetti. Il silenzio. Tutto quanto di Superga rende unica l’atmosfera e indimenticabile il luogo. Ci si raccoglie in preghiera, nel rispetto di ciò che quegli uomini hanno rappresentato. Un sogno sviluppato durante la guerra, e reso immortale dalle gesta dei calciatori che dominavano al Filadelfia e in giro per gli stadi d’Italia.
C’è la bandiera della Chapecoense, squadra distrutta da un disastro aereo come quel Torino, a ridosso di un possibile trionfo in Copa Sudamericana, e che oggi langue nella seconda serie brasiliana, dopo essersi salvata dalla C per il rotto della cuffia.
Viene in mente la tragedia di Monaco ’58, che rischiò di spazzare via dalla storia del calcio il Manchester United di Matt Busby, che seppe riprendersi nonostante l’alto prezzo pagato in vite umane, come quella di Duncan Edwards.
Ma l’eredità del Grande Torino non è solo fatta di malinconica nostalgia di un tempo che non potrà tornare. C’è molto di più. E, 75 anni dopo Superga, alcuni eventi si sono verificati quasi in simultanea, dando lustro a connessioni di lunga data e corrispondenze d’amorosi sensi che solo il calcio può offrire.
Qui Chioggia
Di Chioggia, città metropolitana di Venezia, erano i fratelli Dino e Aldo Ballarin. Lo stadio cittadino porta i loro nomi. Abbiamo parlato di quella che oggi è l’Union Clodiense Chioggia in occasione del cinquantesimo anniversario del club, nato nel 1971 dalla fusione di US Clodia e US Sottomarina. Il colore sociale, manco a dirlo, è il granata, e l’ultima stagione in Serie C risaliva al ’76-’77, proprio l’anno successivo all’ultimo Scudetto del Toro.
L’Union, poche settimane, fa ha vinto il girone C di serie D, e tornerà a disputare un campionato professionistico dopo 47 anni. Un traguardo tanto atteso quanto meritato, alla luce delle ultime stagioni quando il club ha sfiorato più volte la promozione in C, vincendo persino i playoff ma senza chance di ripescaggio.
Il Grande Torino nella città di Pulcinella
Siamo ad Acerra, periferia nord est di Napoli. Qui, nel Seicento, l’attore teatrale nativo di Capua, Silvio Fiorillo, secondo la tradizione, fu il primo a ricreare in una commedia la maschera di Pulcinella, ispirandosi ad un contadino acerrano, Puccio d’Aniello.
È il 17 dicembre 1947. Una delegazione del club acerrano si reca all’aeroporto di Capodichino ad accogliere i campioni d’Italia del Torino con tanto di statuine di Pulcinella al seguito come presente. È stata infatti organizzata un’amichevole tra la squadra di fenomeni granata e l’Acerrana, grazie all’amicizia fra il presidente Ferruccio Novo e un arbitro acerrano, Francesco Mondella.
Al vecchio Comunale di Acerra c’è una targa che ancora ricorda il passaggio in città degli Invincibili. Trentasette anni più tardi, nel fango di quello stadio, si sarebbe giocata un’altra famosa partita amichevole, per beneficenza, fra il primo Napoli di Maradona e l’Acerrana (uno dei video più belli e poetici presenti in rete, ne abbiamo parlato qui).
A fine partita il Torino regala le maglie granata al club napoletano, che da allora avrebbe sostituito le proprie casacche nerostellate non solo con i colori sociali granata, ma che addirittura avrebbe adottato come simbolo il toro. Il raccattapalle di quella partita, Pasquale Di Costanzo, ancora ricorda di essersi intrufolato nello spogliatoio e di aver chiesto e ottenuto, con sorriso annesso, la maglia numero 10 dall’eterno capitano Valentino Mazzola.
Fast forward al 2024, dopo vari cambi di denominazione, fallimenti e titoli persi e ricomprati qua e là, la Real Acerrana 1926 ha appena battuto il Pompei nella gara decisiva per la promozione in serie D. L’impianto è diverso, perché da 4 anni si gioca all’Arcoleo, ma i colori sociali sono gli stessi: 75 anni dopo Superga, l’Acerrana ha realizzato la stagione perfetta, ed è solo l’inizio di un progetto molto serio per i campani.

L’esultanza dei giocatori e i tifosi festanti sugli spalti dell’Arcoleo per la promozione in D dell’Acerrana (foto dell’autore)
Il Grande Torino a Salerno
Il 18 aprile 1948 gli italiani si sarebbero recati, in massa, alle urne per le prime elezioni politiche della nascente Repubblica Italiana. Per le donne si tratta delle prime elezioni dopo il referendum del 2 giugno 1946.
Il 92% degli aventi diritto al voto, 27 milioni di cittadini, avrebbe espresso la propria preferenza per l’uno o l’altro schieramento, con largo successo (maggioranza relativa del partito, assoluta della coalizione) per la Democrazia Cristiana.
Il giorno precedente, a Salerno, però, le elezioni più importanti della storia della Repubblica non sono l’unico argomento di discussione. Al Comunale, noto oggi come Donato Vestuti e stadio della Salernitana fino al passaggio all’Arechi, sta per arrivare il Grande Torino. La più famosa squadra italiana, non solo granata, in visita ai granata campani al primo anno di serie A, allenati da Gipo Viani.

Salernitana-Grande Torino allineate prima della gara – 17 aprile 1948 (Wikimedia Commons)
Non bastano le diavolerie tattiche (alias l’introduzione del libero, ma anche il primo esperimento di falso nueve) del leggendario Viani, la Salernitana perde 1-4 nonostante il vantaggio realizzato da Merlin dopo soli 7 minuti, su cross di Onorato. Una doppietta di Gabetto fra prima e seconda frazione, e le reti di Valentino e Ossola, certificano lo scatto finale del Toro in ottica Scudetto sul Milan e sulla Juve, mentre la Salernitana retrocederà per un solo punto, in compagnia del Napoli (retrocesso all’ultimo posto per illecito sportivo), dell’Alessandria e del Vicenza.
Una targa all’interno del Vestuti ricorda quella partita, mentre il piazzale antistante lo stadio è dedicato alla memoria di Renato Casalbore, cofondatore e primo direttore di Tuttosport, che insieme a Renato Tosatti e ad altri giornalisti, salì sull’aereo che da Lisbona avrebbe dovuto riportare il Grande Torino e la relativa delegazione a casa. Anche loro eterni, come quella squadra leggendaria, che cambiò l’Italia da nord a sud, e a cui ovunque sono dedicati stadi, piazze, strade, in nome dell’immortalità.
Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio e basket, tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun, lavora nel turismo.
Immagine di copertina dell’autore.