Marco Negri: come ho conquistato Glasgow

Marco Negri: come ho conquistato Glasgow

Maggio 12, 2024 0 Di Philip Supertramp

Capelli lunghi, barba incolta, collanine al collo e lo sguardo di una tigre che fissa la sua preda: il Pallone. Per Marco Negri esisteva una sola legge, quella del gol. Da Monfalcone a Glasgow, passando per tanti campi di provincia, ma con un solo obiettivo, quello di trafiggere la porta avversaria, come ci racconta in questa chiacchierata che abbiamo il piacere di condividere con i nostri lettori.

Cresciuto nella primavera dell’Udinese, nella stagione ’88-’89 esordisce a 17 anni sotto la guida di Sonetti. “Al mister devo tantissimo. L’esordio è un momento che non dimenticherò mai, è il realizzarsi di un sogno. Fino a quel momento vivi il calcio per pura passione, poi quando ascolti il tuo nome e vedi il tuo numero sul tabellone cambia tutto. Inizi a provare l’adrenalina del calcio professionistico ed è una sensazione bellissima, che da quel momento vuoi sentire sempre più spesso”.

Dopo varie esperienze su e giù per l’Italia (Novara, Ternana, Cosenza e Bologna), nel 1994 torna a Cosenza, dove trova mister Zaccheroni. “In quella stagione, con i miei 18 gol, mi trasformo da giovane di belle prospettive a bomber, e inizio ad apparire sui taccuini dei vari club. Avevamo una squadra con ottimi giocatori per la Serie B. Il mister proponeva un calcio offensivo, che per noi attaccanti era come stare nel paese dei balocchi”.

Dopo quel campionato viene acquistato dal Perugia che si trova in Serie B, ma “per Gaucci era un obbligo centrare la Serie A”. Grazie a Mister Galeone e all’arrivo di Allegri, all’ultima giornata i grifoni si giocano tutto contro l’Hellas Verona. Vincere significherebbe promozione. “Quella domenica Perugia viveva in attesa di quei 90 minuti. Tutta la gente era già allo stadio da mezzogiorno e le strade della città erano tutte bloccate.

Inizia la partita, andiamo sotto contro l’Hellas, mentre la Salernitana, che con noi si giocava la Serie A, era andata in vantaggio. A quel punto arriva la mia doppietta, con il secondo gol decisivo per la vittoria, 3-2. L’ansia si trasforma in gioia e al fischio finale partono i festeggiamenti che dureranno per 2-3 giorni. Una stagione da incorniciare, anche perché in quegli anni la Serie A era il sogno di tutti. Lì giocavano i palloni d’oro, c’erano i migliori giocatori al mondo. Arrivarci conquistandola sul campo è stato meraviglioso ”.

Marco Negri si misura con la Serie A e si guadagna la chiamata dei Rangers

La Serie A però non è un campionato per tutti: “spesso per noi attaccanti il salto dalla serie B alla A era un muro di gomma che ci rimbalzava via. C’erano bomber di grande livello, con gente come Zidane, Baggio, Djorkaeff ad innescarli. I portieri erano straordinari: Buffon, Toldo, Marchegiani, Peruzzi, Pagliuca… dei veri muri difficili da superare”. Il Perugia a fine stagione retrocede, ma per Marco con le sue 15 reti (dietro solamente a Inzaghi, Balbo e Montella) è la definitiva consacrazione. “La stagione finisce male, ma per me da esordiente segnare così tanto, senza nemmeno battere i calci di rigore, è servito a rendermi consapevole dei miei mezzi e acquisire fiducia.”

È l’estate del 1997. Il Glasgow Rangers arrivava dal “nine in a row” (trad: nove titoli di fila), record per il calcio scozzese, che i Rangers condividono con i Celtic. Il loro obiettivo era raggiungere il “ten in a row” e soprattutto rendere la squadra più competitiva in Europa, visto che in Champions uscivano sempre al primo turno. Ricordiamo  il 4-1 e lo 0-4 rifilatogli dalla Juventus. Quindi i dirigenti decidono di internazionalizzare la squadra, pescando soprattutto in Italia: Negri, Amoruso, Porrini, Gattuso e Riccio.

Marco viene acquistato per sostituire “una leggenda come Ally McCoist (anima dei Rangers dal 1982 al 1998, con più di 300 gol), avevano visto in me delle similitudini. Un attaccante pronto ad approfittare degli assist di Gascoigne e Laudrup, con mentalità italiana per poter fare fronte alle coppe europee”.

I Rangers non avrebbero potuto fare miglior scelta. La sua stagione inizia in maniera fantastica, 23 gol in 10 partite, di cui 5 al Dundee. “Una partenza perfetta. In quell’inizio rompo tutti i record, come segnare in 10 partite di fila, contro ogni portiere. Ero pieno di fiducia, con dietro Laudrup e Gascoigne prima o poi mi sarebbe arrivato un pallone e sapevo che mi sarebbero bastate due o tre azioni per segnare. Porto un sacco di palloni a casa e spesso non vengo nemmeno quotato dai bookmaker perché il gol era troppo scontato”.

Si parla di Nazionale: “era la stagione 97-98 e con tutti quei gol si fa ripetutamente il mio nome per le convocazioni. Non per il mondiale, ma almeno per qualche partita. In quegli anni gli attaccanti italiani erano da stropicciarsi gli occhi: Zola, Vieri, Montella, Del Piero, Inzaghi, Chiesa, Baggio”.

L’Old Firm spiegato da Marco Negri

Tra le squadre a cui fa gol non poteva mancare il Celtic. “La rivalità tra Rangers e Celtic è qualcosa di unico. Non è una partita normale, anche per motivi extra calcistici come politica e religione. È una partita di cui si parla la settimana prima e quella dopo e ti può esaltare se hai una grande personalità o distruggere se non riesci a reggere la pressione. Io sono super orgoglioso di aver giocato l’Old Firm e di aver segnato al Celtic Park e nessuno mi toglierà la sensazione di essere stato protagonista in una sfida del genere. La passione del pubblico scozzese è uno spettacolo, è bellissimo vedere padre e figlio con la maglia della propria squadra del cuore andare allo stadio.

Non esistono la curva e le tribune, in Scozia è tutto una curva e i 50mila dell’Ibrox Stadium ti incitano e ti fanno tirare fuori quello che normalmente non hai. Se si suol dire che il pubblico vale come il dodicesimo uomo, in Scozia vale per il dodicesimo e il tredicesimo. Allo stesso tempo devo dire che andare allo stadio è come andare a teatro, sei pronto a esultare, ridere, piangere. Quando torni a casa sei sempre contento perché hai visto un bello spettacolo. Mentre in Italia questo è impossibile, perché la sconfitta non è contemplata”.

Nello spogliatoio, “Gattuso era molto giovane e timido. Aveva solo 17 anni. Era un ragazzo molto preciso e voglioso di giocare, mentre su Gascoigne potrei scriverci un libro. Mi ricordo ancora la sera prima della prima partita, dovevamo vederci alle 19:00 per cenare tutti insieme. Noi italiani tutti ligi, perché in Italia se non arrivavi in orario e vestito in maniera adeguata ti facevano la multa.
A un certo momento si apre l’ascensore e appare Gazza con la canottiera e in mutande. Saluta tutti, prende due sandwich e della frutta. Se li mette nelle mutande e risale. Io allibito. Poi il giorno dopo mi fa due assist, da quel momento Gascoigne poteva fare quello che gli pareva. Era un talento mai visto, le sue prestazioni erano magiche. Sono orgoglioso di aver condiviso lo spogliatoio con lui”.

Quel maledetto infortunio all’occhio

Tutto stava andando nella miglior maniera possibile fino a quando…“era un mercoledì, ed io ero abituato in Italia alla doppia sessione, mentre in Scozia è il giorno libero della settimana. Per mantenermi in forma vado a giocare a squash con Porrini. Lo squash si gioca in un campo grande come l’area di rigore e mi serviva per allenare i riflessi. A un certo punto mi colpisce una pallina a 100 km/h nell’occhio e mi si stacca la retina. È stato definito l’infortunio più bizzarro della storia del calcio scozzese…

A fine dicembre ero a quota 30 gol. Ero in corsa per la Scarpa d’oro, i Rangers erano primi e volevamo il “ten in a row”, il mio nome continuava a leggersi in chiave nazionale, ero amatissimo e non poteva andare meglio. In quel momento la bolla di magia, in cui io e i Rangers eravamo rinchiusi, scoppia e cadiamo fragorosamente. I Rangers perdono il campionato e io perdo tutto quello di cui vi avevo parlato prima. È stata dura, però col senno di poi come dicono gli inglesi: ‘ridi e sii felice perché è successo e non piangere perché è finito’.

Il ritorno in Italia

Nel 2000 torna in Italia e, dopo Gaucci a Perugia, a Cagliari e Livorno conosce altri due presidenti come Preziosi e Spinelli. “Sono quei presidenti tifosi che non esistono più. Respiravano calcio e con loro gli allenatori non avevano scampo perché erano persone che oltre al presidente avrebbero potuto sedere tranquillamente in panchina. Nutro grande rispetto per loro tre”.

Il suo periodo a Livorno coincide con Protti. “Igor è una persona fantastica che mi ha accolto benissimo. Era un giocatore che quando entrava in campo si trasformava, era un tifoso e la città lo amava e rispettava così tanto da considerarlo più importante del sindaco”.

A proposito di attaccanti, un confronto fra il calcio di oggi e quello in cui ha giocato Marco: “nel calcio odierno spesso i portieri con i piedi sono più bravi di tanti difensori con cui ho giocato. Io ero un centravanti d’area di rigore. Ora l’attaccante deve fare entrambe le fasi. Ci sarebbero richieste cose diverse. Nel 2017 ho lavorato con Oddo all’Udinese come allenatore degli attaccanti. Come esiste il preparatore dei portieri credo debba esserci anche quello dei calciatori offensivi e nutro molta fiducia in questo ruolo”.

Nella lunga chiacchierata con Marco non c’è spazio per nostalgia o falsa retorica. Qualcuno avrebbe potuto pensare a un ex calciatore con un conto aperto con la sfortuna, per ciò che gli è successo nel momento migliore della sua carriera. Il ritratto che viene fuori dalle sue parole è invece quello di un uomo estremamente orgoglioso del suo percorso, di essere diventato una leggenda di un club storico in pochissimo tempo, e di essere ancora ricordato in tante piazze come un bomber decisivo per gli obiettivi del club presso cui prestava servizio.

D’altronde è stato lui stesso a rimarcarlo durante l’intervista, dando a tutti noi appassionati e lettori una grande lezione: “sii felice perché è accaduto, non essere triste perché è finita”.

 

La redazione ringrazia Marco Negri per il tempo che ha concesso a Philip e ai nostri lettori.

Intervista a cura di Philip Supertramp – Instagram @ilsignoredellaliga.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia.