Johan Neeskens: l’apparente paradosso del ‘secondo’ universale

Johan Neeskens: l’apparente paradosso del ‘secondo’ universale

Giugno 1, 2024 0 Di Alfonso Esposito

 È l’estate del 1974, l’anno della strage di Piazza della Loggia a Brescia sull’onda lunga degli ‘anni di piombo’. Mentre gli Stati Uniti sono travolti contemporaneamente dallo scandalo Watergate e dal successo di Happy Days, gli Abba vincono l’Eurovision Song Contest davanti alla nostra Gigliola Cinquetti ed io ho appena sei anni quando lui, che ne ha quasi ventitré ed è ad una distanza siderale, mi conquista del tutto. Perché ci vuole un fegato da John Wayne per battere un rigore già al primo minuto di gioco, in una finale di Coppa del mondo, a Monaco di Baviera e davanti a quasi 80000 spettatori, la maggior parte dei quali non tifa per te.

Detto fatto, lui tramortisce con una randellata centrale il portiere ed ammutolisce l’Olympiastadion di fede casalinga. Si chiama Johan, come Cruijff, per distinguerlo, però, gli appiccicano addosso l’etichetta di ‘secondo’, quasi a rimarcare snobisticamente il divario rispetto al ‘primo’. Ma Neeskens è ben più di un semplice gregario, seppur di lusso. 

Rigore Neeskens - Olanda -Germania Ovest, finale Mondiali 1974 (Wikimedia Commons)

Rigore Neeskens – Olanda -Germania Ovest, finale Mondiali 1974 (Wikimedia Commons)

È l’uomo che, dopo secoli, mette d’accordo i filosofi medievali che, per circa trecento anni, si sono accapigliati di brutto per capire se gli ‘universali’ – termini di genere come ‘uomo’, ‘animale’, ‘pianta’ – fossero reali o meri “flatus vocis”, semplici nomi di genere privi della consistenza effettiva delle individualità che richiamano. Perché con lui il concetto di ‘universale’ diventa carne e sangue, realtà concreta e non solo un nome portato via dal vento. Il credo propugnato da Rinus Michels vive di movimenti incessanti, pressing, intercambiabilità nei ruoli, aggressione ed occupazione degli spazi, osmosi tra fase difensiva ed offensiva, ebbene, tutto ciò con lui diventa un’esemplare ed innegabile realtà. 

Johan Neeskens e il calcio universale di Michels

Forse anche per questo il ‘generale’ Michels trovava insoddisfacente l’etichetta di ‘calcio totale’, perché il suo, più che un totaalvoetbal, è un universeelvoetbal, un calcio universale, nel quale la rigida applicazione degli schemi e la specializzazione nei ruoli sono fatalmente destinati a cedere il passo alla poliedricità, alla creazione gara per gara di nuove varianti di gioco ed alla capacità di saper fare tutto in ogni momento, mettendo i singoli al servizio del collettivo per esaltare ancor di più le qualità individuali. Il che trova in Neeskens la sintesi calcistica vivente.

Anche per questa ragione si va fuori strada quando, per tratteggiarlo in modo di certo suggestivo, ma non corrispondente alla realtà, lo si definisce come una sorta di ‘anarchico’ del rettangolo verde, perché l’estremizzazione della libertà individuale è idea del tutto incompatibile con la concezione michelsiana del calcio, che, invece, quella stessa libertà la mette al servizio dell’organizzazione collettiva dell’Ajax prima, della Nazionale olandese poi. Così come non è esatto definirlo un “mediano difensivo che sapeva anche segnare”, classificazione fin troppo angusta per un giocatore capace di destreggiarsi indifferentemente pure da terzino, regista, trequartista e, volendo, punta aggiunta. 

Difensore, centrocampista, attaccante: Neeskens sa fare tutto ed è ovunque

Difende ed attacca con pari disinvoltura, sa giocare per due e, a veder bene, è l’uomo in più, tanto che lo stesso Cruijff ammette che, portiere a parte, nella sua squadra ideale di elementi come lui in campo ne avrebbe voluti nove, poiché di uno così universeel – al contempo fabbro, geometra, ricamatore e goleador – è sempre meglio averne in abbondanza. Altro che ammiratore ed emulo di Nobby Stiles, il ruvido mediano dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966, Neeskens è di tutt’altra caratura tecnica e tattica.

Gerrie Mühren, “hombre vertical” del grande Ajax

Vero è che si rivela un placcatore inesorabile, protagonista di ruvidi ed epici ‘confronti’ sia in allenamento con compagni di squadra come Vasović, sia in campionato con Wim van Hanegem del Feyenoord, senza dimenticare il faccia a faccia col ‘caudillo’ argentino Daniel Passarella nella finale dei mondiali del 1978, che gli costa due denti in meno. Questa sua ‘ferocia’ agonistica conquista proprio l’amico-rivale van Hanegem, che da casa assiste nostalgico al match contro l’Albiceleste di Menotti, fino al punto di pentirsi di non aver preso parte alla rassegna in Sudamerica a causa di dissensi interni al gruppo oranje.

Il complemento perfetto di Johan Cruijff

Altro che Johan ‘secondo’ o ‘segundo’, alla spagnola, quando, subito dopo il mondiale teutonico, raggiunge il maestro Rinus e il condottiero Johan ‘primo’ al Barcellona. Perché lui e Cruijff, più che successivi, sono complementari, dal momento che il modello di football insegnato da Michels non si esaurisce nella sola tecnica, ma è anche intelligenza, movimento e corsa, quella che spesso porta Neeskens non solo a coprire le spalle a Cruijff, ma anche a pararglisi davanti, quasi a schermarlo dalle offensive avversarie.

La prova della complementarietà diventa evidente allorquando, nel 1973, per tappare la falla creata dal divorzio tra l’Ajax e Cruijff, Neeskens avanza il suo raggio d’azione, così come, raggiunta l’anima gemella in Catalogna l’anno dopo – per allestire un asse tutto arancione da contrapporre a quello germanico-madridista composto da Netzer e Breitner – ancora una volta (nella stagione ’78-’79) fa le veci dell’illustre compagno d’armi per compensare la sua partenza alla volta degli States, salvo approdare anche lui oltreoceano la stagione successiva.

Neeskens e Cruijff in ritiro con la nazionale (1974 - Wikimedia Commons)

Neeskens e Cruijff in ritiro con la nazionale (1974 – Wikimedia Commons)

Lo stesso accade in Nazionale, quando l’Olanda nel ’78 bissa il piazzamento d’onore di quattro anni prima, pur orfana del suo rappresentante più emblematico. Proprio il ‘mondiale d’inverno’, all’altro capo del mondo, rappresenta un banco di prova arduo per chi vuole fregiarsi del titolo di esperto del calcio olandese. Come hanno fatto gli arancioni, privi non solo di Cruijff, ma anche di van Hanegem, a ripetersi a certi livelli e, in ogni caso, ad approdare ugualmente alla finale? Domanda difficile, ma per me la risposta, d’obbligo, è stata agevolata dall’ammirazione per lui.

Johan Neeskens, la chiave d’argento degli Oranje nel 1978

Perché è vero che la selezione guidata da Happel può contare in difesa su un Krol già in grado di figurare tra i più grandi interpreti di sempre del ruolo di centrale difensivo. E perché, comunque, Haan, regista difensivo quattro anni addietro, avanzato ora in mediana detta giocate e tempi da par suo, magari con meno classe rispetto a van Hanegem, ma con un ritmo ed un’incisività maggiori rispetto al ‘lento pede’ del Feyenoord. Senza dimenticare che Rep, accentrato in zona-gol, assicura ad ogni buon conto un bottino di reti non indifferente e ben s’integra col solito Rensenbrink a sinistra e con l’aitante dribblatore René van de Kerkhof a destra. 

Ma la vera colonna portante della rappresentativa dei Paesi Bassi ha un solo nome: Neeskens, il settepolmoni, il tuttofare, l’universale che ti ritrovi costantemente, inevitabilmente, dannatamente ovunque. È nel freddo argentino del ’78 che appare evidente quanto possa risultare fuorviante l’appellativo di ‘Johan II’, se con questo si ritiene che Neeskens sia solo una spalla, seppur eccelsa.

Una stella che brilla di luce propria

Al contrario, per la sua indispensabilità è una stella che brilla di luce propria, sciogliendo con la sua classe l’apparente paradosso del ‘secondo’ che è, allo stesso tempo, universale. A differenza del mondiale tedesco, dov’era risultato il cannoniere principe dei suoi con cinque marcature, in terra sudamericana Neeskens non va a segno, ma se Rensenbrink di centri ne colleziona 5, Rep 3, Brandts ed Haan 2, i gemelli van de Kerkhof e Nanninga uno a testa, se l’Olanda, sempre in sette incontri, ripete la stessa messe complessiva di reti (ben 15!) della rassegna precedente, se, insomma, resta una magnifica cooperativa del gol, il merito va anche, se non soprattutto, all’anima universale dell’undici arancione.

Corre l’anno ’78, quello del mio esordio in prima media e dei due presidenti della Repubblica, il dimissionario Giovanni Leone e il partigiano Sandro Pertini, Aldo Moro è assassinato dalle Brigate Rosse e il terrorismo spezza l’incanto contagioso della Febbre del sabato sera e del ritmo travolgente dei Bee Gees. È pure l’anno dei due papi che si chiamano Giovanni Paolo, I e II. Come i due Johan.

 

Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.