Gli Europei del 1980 e gli incroci del destino

Gli Europei del 1980 e gli incroci del destino

Giugno 12, 2024 0 Di Alfonso Esposito

Lo ricordo come fosse ieri. L’Europeo del 1980 in Italia è stato, per me, il primo che mi ha coinvolto a tempo pieno. Ero stato promosso in terza media, l’estate era, ormai, alle porte e sembrava che il nostro fosse ancora il “bel Paese”.

Nonostante l’assassinio di Piersanti Mattarella ad opera di ‘cosa nostra’ e le sentenze di morte che il terrorismo brigatistico aveva decretato ed eseguito contro Vittorio Bachelet e Walter Tobagi. Anche il calcio non era più quell’isola felice che amavamo fantasticare, la piaga velenosa del ‘Totonero’ ci aveva aperto brutalmente gli occhi sul malaffare che insozzava pure il mondo del football.

Italia favorita e padrona di casa

Eppure, o forse proprio per questo, attendevamo trepidanti che iniziasse il torneo continentale. Che ci vedeva favoriti, anche per il quarto posto conquistato due anni prima al mondiale argentino, dove avevamo brillato soprattutto nella fase iniziale, per poi essere tramortiti dalle sassate prima di Brandts ed Haan contro l’Olanda, poi di Nelinho e Dirceu nella finalina di consolazione col Brasile.

Però ne eravamo usciti a testa alta e, in più, ora ospitavamo la competizione, era logico che i pronostici ci sorridessero. Certo, la linfa nuova del calcio italiano era stata contaminata e limitata dallo ‘scandalo-scommesse’, in primis Pablito’ Rossi, ma anche i laziali Giordano e Manfredonia, tutti beccati in fuorigioco dalla giustizia sportiva.

Bearzot, a malincuore, se n’era fatto una ragione, anche perché le forze fresche non mancavano di certo, con i fratelli Baresi e Fulvio Collovati per la difesa, Oriali e Buriani in mediana, bomber rodati come ‘Spillo’ Altobelli e ‘o rey di Crocefieschi’ Pruzzo in zona gol.

A contenderci l’ambito alloro c’erano la ‘solita’ Germania Ovest, l’Olanda vicecampione del mondo e i ‘maestri’ dell’Inghilterra, affamati di rilancio dopoché, nelle ultime due edizioni sia del mondiale che dell’europeo, avevano fatto ripetutamente cilecca.

A sorpresa l’Uefa non aveva incluso nel lotto delle teste di serie la Cecoslovacchia campione in carica, evidentemente glorificata nell’immaginario collettivo più dal ‘cucchiaio’ di Panenka che dal successo finale nell’edizione di quattro anni prima.

Completavano il novero delle otto partecipanti – mica erano ventiquattro come ora… – Grecia, Belgio e Spagna.

Un girone sottotono: secondi per differenza reti

Nel girone ci toccarono in sorte proprio queste ultime due, insieme agli inglesi. Onestamente, non disputammo partite epiche, pari ad occhiali nelle gare d’esordio con gli iberici e di chiusura con i belgi. Unica vittoria contro gli inglesi, grazie ad una rete di Tardelli al 79’.

Insomma, secondo posto per numero di gol fatti dietro il Belgio di Pfaff, Gerets, Van Moer e Vandereycken ed altra finale minore, persa ai rigori proprio contro la Cecoslovacchia.

Di nuovo quarti, come al mundial argentino. Ci rimasi male, eppure se ricordo quell’edizione dell’Europeo non è solo per la delusione che mi amareggiò.

La Germania Ovest e la nuova generazione che trionfò agli Europei 1980

Perché a trionfare era la nuova generazione della Nationalmannschaft, la Germania Ovest che ambiva a primeggiare dopo la chiusura malinconica dell’epopea targata Helmut Schön, col tramonto di assi del calibro di ‘Kaiser’ Beckenbauer, Gerd Müller, Maier, Breitner, Overath ed Höness. Di fatto sopravviveva solo il mio mito Rainer Bonhof, ma gli acciacchi fisici praticamente gli impedirono di scendere in campo.

Eppure, la nuova leva calcistica tedesca, agli ordini del neo c.t. Jupp Derwall (che mi risultava cordialmente antipatico), mi stregò. A partire dal portiere, il guascone Harald Schumacher, ben diverso nell’interpretazione del ruolo dal più composto Sepp Maier.

Poi, in difesa, spiccavano l’incursore di destra Manni Kaltz, i fratelli Förster (più Karl Heinz che Bernd, in verità), il regista difensivo Uli Stielike, capace di destreggiarsi anche come mediano, bravo e duro come pochi – ne sa qualcosa il nostro Oriali, che ne saggiò la ferocia agonistica quattro anni dopo, nella finale vittoriosa del mondiale spagnolo – mentre, a centrocampo, si facevano notare una raffinata mezzala come Hansi Müller ed un podista instancabile, Hans Peter Briegel, un concentrato di corsa e muscoli che sarebbe esploso poi quattro anni dopo nel Verona scudettato di Osvaldo Bagnoli, con Felix Magath ed il diciannovenne Lothar Matthäus a completare il reparto.

In attacco, oltre al già noto Kalle Rummenigge, la coppia composta da Horst Hrubesch, canonico ‘panzer’ dell’Amburgo, e Klaus Allofs, baffuta punta di movimento in forza al Colonia, garantiva la dote di gol necessaria per fare strada, infatti furono ben cinque le marcature complessive messe a segno dai due, con Allofs laureatosi tiratore scelto del torneo con tre centri.

La primavera di Bernd Schuster

Ma a rapire più di tutti il mio cuore in quella tarda primavera agrodolce del 1980 è lui, Bernd Schuster, biondo come il sole, armonioso come il David di Michelangelo, solido e potente come un motore Mercedes.

Cuore, luce e tempo della manovra, dirige l’orchestra con la stessa impareggiabile eleganza di Herbert von Karajan (austriaco di nascita, ma tedesco d’adozione, specie dopo l’Anschluss di Hitler) con la Berliner Philharmoniker.

Per me era un predestinato, il secondo posto nella classifica del ‘Pallone d’oro’ di quell’anno, dietro il connazionale Rummenigge e davanti a Michel Platini, lo prova ampiamente.

Solo alcune ragioni extracalcistiche lo hanno, di fatto, estromesso dal circuito della nazionale, impedendogli di partecipare ad un mondiale e limitando a ventuno le presenze con la casacca bianca della rappresentativa germanica.

Italia e Germania: dagli Europei 1980 ad Euro 2024 – destini incrociati

C’è una ragione per questo amarcord. Ora, come allora, tornano ad incrociarsi i destini di Italia e Germania, solo che nell’80 fummo noi a fare gli onori di casa, mentre i tedeschi vinsero.

Adesso i ruoli potrebbero invertirsi. Chissà che questo non sia di buon augurio per gli uomini di Luciano Spalletti, partiti alla volta del ritiro di Iserlohn con tanti dubbi ed una sola certezza: la vittoria finale nella rassegna precedente, che non è stata solo figlia del fato, ma di uno spirito di gruppo (e, perché no, di popolo) che, se rinverdito, ancora una volta potrebbe essere il nostro uomo in più. Sperare non costa nulla, in fondo anche nel mondiale del 2006, sempre in terra teutonica, non partivamo certo come favoriti, specie dopo la clamorosa (e scandalosa) eliminazione nella Coppa del mondo nippo-coreana. Eppure tutti ricordano che il cielo sopra Berlino si tinse d’azzurro.

 

Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia.