Dino “Zoff” e un pallone che unì Italia e Croazia
Giugno 20, 2024Quella mattina di fine agosto 2009, a Makarska, litorale dalmata, le nuvole non promettevano nulla di buono.
Così, invece di andare in spiaggia, mi reco con la mia ragazza in giro per il paese. In sottofondo, il disco di Oliver Dragojević che ci ha accompagnato per tutta la vacanza croata.
Arriviamo ad uno dei pochi campetti di basket all’aperto, notando un ragazzo che sta facendo qualche tiro, da solo, come se stesse parlando più al canestro che a se stesso.
Mi avvicino e gli chiedo “dobre dan! can I play some ball?”. Annuisce e mi passa la palla. “Italiano?”
“Sì, si vede?”. Avevo una canotta con la scritta Ultras Napoli 1926. Fate un po’ voi. “Italiano bene, inglese no. Qui a Makarska tutti parlano italiano”. “Ok, dobre”. Conoscevo tre parole in croato e non perdevo occasione per giocarmele tutte. “Hvala, grazie per il passaggio. Si dice così grazie vero?”. “Sì, più o meno. Io mi chiamo Dino, piacere”.
“Ah! Come Dino Radja?”. “Papà mi chiamato così per Dino Zoff, amava Dino Zoff e l’Italia”.
“Io sono Luca, facciamo qualche tiro”.
Dopo avermi stracciato per un quarto d’ora, non riesco però a farmi i fatti miei. Prendiamo una pausa mentre la mia fidanzata, che oggi è mia moglie, continua a scattare foto del panorama e del paesino.
“Dino, qui si è combattuto durante la guerra?”.
Dino sembrava non volerne parlare, ma poi, spinto dall mia curiosità, cominciò a balbettare qualcosa in un misto di linguaggi a cui solo un pallone poteva dar senso.
“Guarda, io è da stamattina che gioco. Ultima volta giocato 16 anni fa…”
Mi raccontò la sua storia, e io la riportò a voi.
Correva l’anno 1993. Una rappresentativa di Spalato era a Makarska per una partita del torneo croato dedicato alle selezioni under-15.
Dino aveva 13 anni ma era già molto alto per la sua età e molto capace.
Il padre si trovava a Mostar quella sera, aveva appena combattuto una battaglia per la difesa del ponte contro le forze appoggiate dai serbi. L’indomani sarebbe tornato a casa.
Dino giocò bene e segnò il tiro decisivo per vincere la partita, ma cadendo all’indietro appoggiò il piede su quello del suo diretto marcatore slogandosi la caviglia.
Negli spogliatoi fu portato a braccia ma teneva stretto a sè il pallone vincente della partita.
Se ne fregava della caviglia, era felice.
La madre, sempre restía a fargli visita durante le partite, lo raggiunse stranamente negli spogliatoi.
“Dino”. “Mamma, che ci fai qui”.
“Dino, si tratta di papà”. Il pallone che teneva così forte al petto, cadde a terra e rimbalzò fuori dagli spogliatoi.
“Papà ha avuto un incidente. È sceso dal carro sulla via del ritorno. Dicono che voleva soccorrere delle persone che imploravano aiuto nei campi. Ma ha incontrato una mina”.
Il padre di Dino, Alen Baljic, perse entrambe le gambe.
Come unico figlio maschio, Dino si prese cura del padre fino all’ultimo respiro. Non aveva toccato più un pallone da basket fino alla mattina del nostro incontro. Il padre, se ne era andato un mese prima. E quei tiri a canestro, erano il modo per liberarsi di un peso lungo 16 anni.
“Se avessimo noi un Dino Zoff, potremmo vincere i Mondiali” – sorrise. Chissà se ricordava la Croazia del 1998. O se magari avrà amato quella del 2018 e del 2022. Se era troppo giovane per tenere a mente la Jugoslavia a Italia ’90, oppure quella che fece le valigie per tornare a casa prima di Svezia 1992, cedendo il passo al miracolo Danimarca.
Tutto ciò che sappiamo è che Dino era un figlio della Jugoslavia, ma si era riscoperto croato per colpa di una guerra bastarda e infinita.
E che nessuno gli avrebbe ridato indietro suo padre.
Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio e basket, tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun, lavora nel turismo.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.