
Italia – Croazia 1942
Giugno 22, 2024Dall’entrata in guerra nel 1940 l’Italia aveva giocato una volta sola, a Genova contro l’Ungheria, quasi due anni prima.
Nello stesso stadio, intitolato al capitano del Genoa Luigi Ferraris morto in battaglia nella prima guerra mondiale, il CT Vittorio Pozzo schierava la sua formazione migliore per la partita contro la Croazia.
Era l’aprile del 1942. Il conflitto aveva ormai raggiunto la sua fase culminante, la Germania nazista occupava mezza Europa insieme ai suoi alleati, l’Italia fascista su tutti.
Gli americani erano appena entrati in guerra dopo l’attacco giapponese su Pearl Harbour, ma nel Vecchio Continente in pochi, forse solo dall’altra parte del Canale della Manica, scorgevano una parvenza di luce infondo al tunnel.
Il dominio tedesco si era esteso anche nella penisola dei Balcani, dove però trovava pane per i suoi denti, un po’ perché le capacità militari dell’alleato italiano erano quelle che erano, come da lunga tradizione, scarsamente affidabili per usare un eufemismo. Un po’ per la natura intrinseca della regione, dove le tensioni di ogni genere erano moneta corrente: etniche, religiose, politiche, strategiche, economiche.
La Croazia che da un paio di decenni faceva parte del Regno di Jugoslavia, già Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, vedeva nascere un nazionalismo autoctono, quello degli ustascia, che aveva compiuto l’azione più rilevante uccidendo il Re Alessandro a Marsiglia, che tra gli altri era il sovrano dei croati stessi.
Lo Stato fantoccio di Ante Pavelić
Quando Hitler, insieme al suo sodale Mussolini, propose a quei guerriglieri fascisti di instaurare uno Stato indipendente e fantoccio, gli ustascia del Poglavnik, il duce e Ante Pavelić, non se lo fecero dire due volte: nacque lo Stato Indipendente di Croazia, che in quanto a fascismo riuscì nella non irrilevante impresa di superare, da molti punti di vista, i già di per sé orribili originali.

Mussolini e Ante Pavelić – incontro ufficiale per la firma dei Patti di Roma del 1941 – Wikipedia (public domain)
Dittatura, delitti, persecuzioni, un conservatorismo a sfondo religioso dei più oscuri, repressioni assolute nella società e nella cultura divennero il pane quotidiano su un territorio che, oltre alla Croazia attuale, comprendeva anche tutta la Bosnia Erzegovina e parti della Serbia.
Il campo di concentramento di Jasenovac, vicino al fiume Sava e al confine con la Serbia, fu il terreno di una serie inenarrabile e infinita di crimini caratterizzati da una violenza efferata su ogni sorta di nemico: serbi, musulmani, rom, omosessuali, e ovviamente e soprattutto ebrei.
Si dice che vi vennero giustiziate più di duecentomila persone. Numerose testimonianze anche di nazisti tedeschi e di SS affermarono che Jasenovac aveva – appunto – superato l’efferatezza dei campi in Germania, posti come Auschwitz e Birkenau, per intenderci.
Pozzo schiera i migliori per Italia – Croazia
Pozzo aveva vinto due Coppe del Mondo, eppure allo stadio di Genova schierò la miglior formazione degli azzurri, che in quegli anni vestivano la divisa nera, ovviamente.
Metà della squadra aveva giocato, e vinto, la finale dei Mondiali del ’38 a Parigi: i due terzini della Juventus Alfredo Foni e Pietro Rava, capitano della Nazionale, Amedeo Biavati della Roma, Miguel Anguel Andriolo che era uruguayano ma poi era diventato italiano e l’autarchia l’aveva trasformato in Michele Andreolo, del Bologna.
L’altra metà era del Torino, quello che stava diventando Grande e che avrebbe incontrato il proprio destino fatale a Superga, pochi anni dopo: capitan Valentino Mazzola, Guglielmo Gabetto, più il triestino Giuseppe Grezar e il “croato” Ezio Loik, che era di Fiume, ovvero Rijeka, e aveva lavorato con suo papà ad assemblare siluri al silurificio Whitehead nella città istriana.
Il regime fascista era stato chiaro con Pozzo: il ritorno sul campo della Nazionale italiana era un segnale importante da dare al popolo nel bel mezzo della guerra, e l’avversario era degno del massimo rispetto: la Croazia era un Paese nuovo, amico, e soprattutto ben voluto dai tedeschi. Poco importa se pochi anni prima Mussolini avesse dichiarato in un’orazione pubblica che gli slavi erano una razza inferiore, e se fino alla caduta del suo regime nell’estate successiva, la tensione con l’Italia fosse alta, perché le coste adriatiche e le isole della Dalmazia fin giù alle bocche di Cattaro in Montenegro, Istria compresa, facevano parte del Regno dei Savoia.
I protagonisti di quella Croazia
Bisognava celebrare le glorie dell’Italia in camicia nera e della Croazia indipendente, che era ancora più nera di lei. Il capitano dei croati era un ex nazionale di ping pong, Milan Antolković, che giocava nel principale club di Zagabria, il Gradanski, insieme a diversi compagni di squadra, tra cui il portiere Emil Ulch, che era di Pola, istriano come Loik, e il difensore Miroslav Brozović, che invece era bosniaco di Mostar e avrebbe giocato sia nello Zrinjski, la squadra dei croati della città, sia nel Sarajevo.
Quasi tutti avevano vestito la maglia del Regno di Jugoslavia, e molti, Brozović ad esempio, poi anche quella della nazionale della Federazione socialista che nacque dopo la fine della guerra.
I comunisti di Tito smantellarono il Gradanski, che era il simbolo dell’odiato stato fascista di Pavelić, e mandarono Brozović a giocare nel neonato Partizan di Belgrado, tra i cui fondatori c’era un giovane dirigente che sarebbe poi diventato uno dei protagonisti della nuova Croazia indipendente e fortemente nazionalista uscita dalla dissoluzione della Jugoslavia negli anni Novanta del Novecento: Franjo Tudjman.
Se la teoria dei corsi e ricorsi storici ha un valore, essa non si declina da nessuna parte del pianeta meglio che nei Balcani, e sui territori della ex Jugoslavia.
La selezione del CT Bogdan Cuvaj si arrende per 4-0 agli italiani
La Croazia del CT Bogdan Cuvaj, che allenava anche il Concordia di Zagabria e avrebbe vinto quell’anno il titolo nazionale, era alla quinta partita della sua storia, e veniva da una sconfitta casalinga contro la Germania, in gennaio. Resistette agli attacchi dell’Italia, che le era nettamente superiore, per tutto il primo tempo, poi crollò nella ripresa sotto i gol di Gabetto, Pietro Ferraris, Biavati e Grezar.
Risultato finale: Italia quattro, Croazia zero. La Croazia si rifece una settimana più tardi al Maksimir di Zagabria infliggendo sei reti alla Nazionale di un altro Paese amico dell’Asse italo-tedesco, la Bulgaria.
La squadra dello Stato ustascia, che aveva una bandiera simile, ma non uguale, a quella della Croazia che ottenne l’indipendenza alla fine del periodo jugoslavo nel 1991, giocò in tutto 15 partite.
L’ordine degli scacchi bianchi e rossi sul vessillo era diverso, e ogni croato lo sa bene anche oggi. Chi porta in giro quello con il primo tassello in alto a sinistra bianco, sa bene che quella è la bandiera della Croazia fascista di Ante Pavelić, uno dei più tragici esperimenti politici che l’Europa del secolo scorso ha vissuto sui suoi territori.
Nella bandiera della nuova Croazia il primo scacco è rosso, e la nazionale ha la maglia che tutti conoscono. In questi europei di Germania gli scacchi sulla parte davanti sono solo quattro, e giganti.
I precedenti fra Italia e Croazia dal 1994: azzurri a secco di vittorie

Italia – Croazia 1-2, 16 novembre 1994: la formazione della Croazia che vinse a Palermo contro l’Italia, nella partita valevole per le qualificazioni a Euro ’96 – Wikipedia
Dal 1994 Italia e Croazia hanno giocato 8 partite, e l’Italia non ha mai vinto. Ai Mondiali del 2002 in Giappone vinsero i croati due a uno, gol di Bobo Vieri e poi rimonta di Ivica Olić e Milan Rapaić, e agli Europei di dieci anni dopo in Polonia finì in pareggio, gol di Andrea Pirlo e Mario Mandžukić.
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha vinto gli Europei del 2021 ma non ha mai giocato ai Mondiali, mentre la Croazia, un Paese che con 4 milioni di abitanti ne ha meno del Piemonte, ha raggiunto una finale e una semifinale del più importante torneo internazionale.
La sfida di lunedì sera a Lipsia non conta solo per la storia, ma è decisiva per la qualificazione agli ottavi di entrambe le squadre.
Testo di Matteo Fornara. Europeista, groundhopper e autore dei libri:
“Il Genio e la Tigre” – Urbone Publishing
“Nicky, Dino, Diego: viaggio sul pianeta del football” – Urbone Publishing
“Milla, la danza del Leone Indomabile” – Garrincha Edizioni
Immagine di copertina tratta da Wikipedia – il CT di quella Croazia Bogdan Cuvaj.