Lele Oriali, campione tra i “normali”
Luglio 22, 2024Era l’anno dei mondiali, ma non quelli dell’86, con Paolo Rossi che “era un ragazzo come noi”, secondo Antonello Venditti.
Nell’82, in Spagna, tra i protagonisti ci sei pure tu, certo Pablito si laurea capocannoniere, ipotecando in pratica il “Pallone d’oro”, e Bruno Conti è quanto di più ‘brasiliano’ si sia visto allora in terra iberica. Ma a centrocampo eri ovunque, sempre in piedi, nonostante Stielike e la sua compagnia di picchiatori teutonici abbiano provato ripetutamente ad abbatterti.
In quella finale mancava Antognoni per infortunio e toccò a te e a Tardelli reggere il peso di tutta la mediana. Ci riusciste benissimo, perché eravate due lottatori straordinari. Tu e Marco, destini incrociati, sia per ruolo che geograficamente. Entrambi terzini poi reinventati centrocampisti, tu nativo di Como, lui lanciato nella Juve proprio dopo un anno di apprendistato in B in riva al Lario. Tu colonna e bandiera dell’Inter per oltre un decennio, lui vestitosi di nerazzurro dopo una lunga militanza in bianconero.
Sei sempre stato abituato a correre, sudare e sgomitare. Per ragioni di compito tattico e di concorrenza. Nell’Inter, per farti spazio tra ‘mostri sacri’ della mediana come Gianfranco Bedin e Mario Bertini, ma anche in nazionale, dove, quale vice di un titolare inamovibile come Romeo Benetti, in Argentina ’78 ti fu preferito il granata Patrizio Sala – avvantaggiato dalla logica dei ‘blocchi’ cara a Bearzot, che tra Juve e Toro ne mise insieme ben 14… – e, se vogliamo dirla tutta, nemmeno al mundial spagnolo di quattro anni dopo partisti titolare, ‘fregato’ dal tuo stesso compagno di club Giampiero Marini per le prime due partite con Polonia e Perù.
Contro il Camerun, però, Bearzot, finalmente, puntò su di te. Che lo convincesti quand’eri sulla soglia dei 30 e, ormai, di acqua sotto i ponti ne era passata.
Fin da quella amara finale di Coppa dei Campioni, a Rotterdam, nel maggio del ’72, quando l’allenatore Invernizzi ti incaricò di francobollare nientemeno che Cruijff. E tu, neppure venti anni e col n. 4 sulle spalle, eseguisti la consegna, poco mancava che, all’intervallo, rientrassi nello spogliatoio dell’Ajax, anziché nel tuo.
Solo che a quel demonio di Johan non bastava stargli dietro, ne fece due, il primo dopo che tu ed Ivano Bordon saltaste a vuoto su spiovente dalla destra di Suurbier, il secondo addirittura di testa, quasi indisturbato. Per l’occasione ti eri fatto crescere perfino i basettoni, magari per incutergli un po’ di timore, ma con quello lì nemmeno questo serviva. Avevo quattro anni, ma con un papà interista di ferro (che ha sempre cercato di convertirmi alla sua fede) quella partita che non vidi l’ho quasi mandata a memoria, seppure a distanza di anni. Ed anche per questo ho imparato a conoscerti.
Col tempo ci hai quasi riso su ed hai trovato il lato positivo pure in quella serata da incubo. Perché i combattenti come te, che sono abituati alle guerre, mica s’impressionano per una battaglia finita male. Si rimboccano le maniche e ricominciano, senza fare una piega.
D’altronde, lo testimonia il tuo stesso nome ‘parlante’, Gabriele, quello dell’arcangelo che simboleggia la forza e la potenza di Dio, come a dire “nomen omen”. Ricordo quando, dopo aver subito un colpo al volto, uscisti dal campo accompagnato dal medico sociale, con una ferita sanguinante, ma anche allora senza battere ciglio, camminando con una compostezza olimpica.
Ecco, se un’immagine di te resta scolpita nella mia mente e nel mio cuore è proprio questa, di uno che vive “anni di fatica e botte, lì nel mezzo”, lo ha detto Luciano Ligabue in “Una vita da mediano”, citandoti e descrivendoti come meglio non avrebbe saputo fare.
Ora il mio Napoli, ingaggiato Antonio Conte come allenatore, ha deciso di puntare su di te come dirigente. Ti ha voluto, se non preteso, Conte stesso, perché al club di De Laurentiis, dopo un’annata che definire disgraziata è dire poco, serviva come il pane uno con la tua esperienza e col tuo carisma per uno spogliatoio da rifondare.
Non sei uno di quelli che issa sull’attaccapanni i tesserati capricciosi, che campano di selfie e bizze da presunte star. Hai troppa classe per farlo. Ti basta parlare, col tuo tono di voce calmo, ma fermo. In fondo, se dopo quella finale Johan decise di regalarti la sua mitica maglia n. 14 – della quale sei, giustamente, gelosissimo – una ragione c’è e sta nel fatto che, a differenza di tanti altri, non assolvesti sbrigativamente il tuo incarico di marcarlo con un’eloquente dose di colpi proibiti, ma nella massima correttezza.
Fu il suo modo di ringraziarti per aver rispettato il Genio. Ora sei qui, tra il sole ed il mare di una città che anela a risorgere ma, per farlo, ha bisogno di ritrovare la serenità e la serietà del lavoro svolto giorno per giorno.
E nessuno è campione della quotidianità, della ‘normalità’, come te, un veterano che meglio di chiunque altro sa cosa rappresenti l’amore per la bandiera, qualunque essa sia. Per questo, quando mi chiedono quale sarà il miglior colpo di mercato del Napoli, rispondo “l’ha già messo a segno: Lele Oriali”.
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.