Calciatori minorenni: il futuro è nostro! (Parte II)
Settembre 7, 2024Lo immaginiamo piccolo, scattante e veloce, bruno di carnagione e un bel ciuffo ribelle che cala sul viso di scugnizzo. Poco più di 16 anni e mezzo, Diego Franzese (nome profetico, non c’è che dire), è stato il primo esordiente baby nella storia del calcio Napoli. La sua prima, ed unica volta, di quel campionato porta una data che ormai si perde nella notte dei tempi. Il primo maggio del 1932 Garbutt lo fa esordire nel pareggio casalingo col Torino all’Ascarelli. Franzese faceva parte del Napoli B, vale a dire la squadra riserve da dove ogni tanto attingeva il coach britannico e nell’occasione dello 0 a 0 coi granata dovette sostituire un titolarissimo come Mihalic che faceva coppia fissa con Sallustro.
L’anno successivo Franzese è ancora nel giro della prima squadra ma non giocherà mai. Lo ritroviamo due campionati dopo nell’altra presenza in maglia azzurra. Infatti, nel torneo 1933-34, il giovanotto fu schierato a Milano, con una nidiata di altri giovani, nella ultima gara in programma contro il Milan che fu vinta a tavolino per 2 a 0. Fu questa la seconda ed ultima volta che il giovane Franzese indossò la maglia del Napoli.
Lo strano caso del destino volle che anche il secondo in graduatoria di questa speciale classifica facesse il suo esordio contro i granata nel primo giorno di primavera del 1982. Antonio Carannante è ancora nei suoi ‘16’ quando Marchesi, col risultato al sicuro per le reti di Criscimanni e Pellegrini, lo manda in campo al posto di Iacobelli a 8’ dal termine. Un difensore al posto di un regista, nel calcio di una volta, significava tenere il risultato, chiudersi e ripartire per cercare di far male. Fu proprio così, la gara terminò col più classico dei risultati ma in campo, a dar man forte al bimbo Carannante, c’erano Krol, Castellini, Bruscolotti, Ferrario, Vinazzani e Damiani, non proprio gli ultimi arrivati. Ma quanta emozione per il ragazzino di Pozzuoli che il Napoli lo aveva visto solo da raccattapalle!
Nell’ultima partita dell’anno dei quattro allenatori (Mutti, Galeone, Mazzone e Montefusco), maggio 1998, chiuso con la più vergognosa retrocessione del Napoli, fece il suo esordio il neo diciassettenne Guglielmo Stendardo lanciato in campo, negli ultimi giri di lancette, dal tecnico del Vasto. Il giovane difensore prese il posto di Scarlato (che ritroveremo nel primo Napoli di De Laurentiis) sul risultato di 2 a 2 per l’effetto delle reti di Bellucci e Stojak che risposero a Guerrero e Volpi.
Fu il canto del cigno di una squadra che si avviava mestamente alla serie cadetta dopo una campagna acquisti che sembrò sontuosa. Protti, Bellucci, Rossitto e Goretti, tra gli altri, dimenticarono come si gioca a calcio e affondarono con tutta la barca. Dopo quei tre minuti Stendardo non vide più la maglia azzurra e iniziò una carriera di peregrinazioni tra Samp, Lazio, Lecce, Atalanta, perfino Juventus, con più di 300 presenze tra i professionisti. Vista la carriera che ha fatto, un posticino nel Napoli ci poteva anche stare, non credete?
Un altro calciatore che ha fatto fortuna lontano da Napoli, dopo l’esordio in maglia azzurra, è stato Pasquale Casale. Il boy, originario di Cervinara ma napoletano a tutti gli effetti, cresciuto sotto l’ala protettiva di mister Rivellino con la Primavera, era il classico regista che avrebbe dovuto, e forse era destinato a farlo se il Napoli non avesse cambiato spesso allenatore (panchina azzurra che oscillava tra Pesaola, Vinicio e Di Marzio), sostituire ‘Totonno’ Juliano nel momento in cui quest’ultimo avrebbe detto ‘basta’.
L’esordio, in completo bianco da trasferta, avvenne nell’ultima di campionato contro la Sampdoria a Genova, 16 maggio 1976. Il Napoli, ormai sicuro del blindatissimo quinto posto che lo proiettava in Coppa U.E.F.A. (una competizione a cui non partecipò perché vincendo la Coppa Italia la squadra del ‘Petisso’ andò a giocare la Coppa delle Coppe), fu molle e svogliato e perse 2 a 1. Salvò la faccia un rigore di Savoldi, al suo gol numero 14 di quel torneo. Vinicio mandò in campo una formazione rivoluzionata ma Casale, 17 anni e due mesi, fu schierato proprio col n.8 e giocò una gran partita meritandosi gli elogi di Suarez, l’allenatore dei blucerchiati.
Dal centrocampo passiamo alla difesa. Pantaleo De Gennaro proveniva dal Molfetta dove il Napoli lo aveva pescato attraverso gli scout dell’epoca (vi lascio immaginare di che tipo di scouting si trattasse senza i mezzi di oggi) e si mise subito in luce con la Primavera. E siccome la squadra dei giovani il giovedì faceva da sparring partner alla prima squadra per provare gli schemi, lo notò Chiappella.
“Mi piace, è grintoso, sa stare sull’uomo e non molla di un centimetro…”. Partita oggi partita domani, Pantaleo (un nome che non si può dimenticare) entra nelle grazie del tecnico, anno di grazia 1972. Alla vigilia della partita col Torino al Comunale si fanno male sia Panzanato che Ripari, due titolarissimi. A questo punto l’allenatore mischia le carte, fa un’alchimia e schiera Pogliana a destra, Vianello stopper e Perego, che era un terzino, a mediano. La coperta era corta.
Chi fa il terzino sinistro? Ma De Gennaro, chiaro. Considerando che il Toro era una squadra forte con Sala, Pulici, Agroppi, Mozzini e Castellini e che finirà secondo ad un punto dalla Juve campione d’Italia, il rischio di buttare dentro un debuttante c’era. Pantaleo, però, si gioca la sua partita, apre un bel duello col futuro napoletano Rampanti ma il Napoli la perde al ’90. Segna il subentrante Toschi, piccolo come un soldo di cacio ma sgusciante come una anguilla.
E’ il Napoli del ritorno in serie A, quello della birra Peroni sulle maglie, quello dove debutta Antonio Floro Flores ma è anche una stagione amara, con una nuova retrocessione. Non bastò Zeman, non bastò Mondonico per evitare il primo sfacelo del nuovo secolo.
Dopo aver perso in casa con l’Udinese, gli azzurri vanno all’Olimpico contro i giallorossi futuri campioni d’Italia. Doppietta di Delvecchio e Totti e la gara si mette maluccio, Mondonico non sa più a quale santo affidarsi. In attacco ha Amoruso e Moriero che non ne beccano una. Proprio al posto di quest’ultimo fa entrare Antonio Floro Flores, uno scugnizzo che nelle interviste mostra tutta la sua napoletanità.
L’intento è quello di rinforzare l’attacco ma se si mette dentro un ragazzo di 17 anni e mezzo non puoi sperare nei miracoli. Quell’anno Floro Flores giocò solo un’altra gara, questa volta da titolare, contro il Milan al San Paolo ma alla fine fu un risultato ad occhiali. In quel campionato, che vide piombare il Napoli in B per un solo punto, Floro Flores fece già intravedere le sue qualità di punta rapida e mobile ma appariva chiaro che il ragazzo doveva ancora sgrezzarsi.
Furono 12 i minuti giocati da Raffaele Longo nel giorno del suo debutto in A il 7 maggio del 1995. Non era un Napoli malvagio ma era la solita squadra che andava a corrente alternata con ottime prestazioni ma anche brutte figure. Alla fine chiuderà al settimo posto con tanto rammarico.
Quel ragazzino ‘ricciulillo’ che tanto piaceva a Boskov viene fatto esordire in una infausta gara interna con l’Inter. Siamo 2 a 1 per i nerazzurri quando il tecnico napoletano toglie Bordin al ’78 ed inserisce un più propositivo Longo. Sorte, però, vuole che Bergkamp chiuda la gara e l’Inter la porta a casa col 3 a 1 finale. Il ragazzo deve maturare ma ha tutte le qualità per fare bene tanto che, nei tre anni successivi, pur con una squadra non all’altezza, metterà insieme 55 presenze.
Oggi, da portiere maturo, si rasa i capelli quasi a zero e porta un filo di barba. Ricordarlo nel giorno del suo esordio col Napoli fa ancora un po’ tenerezza. Il fisico, quello sì, c’è sempre stato ma quel ciuffettino birbante lo faceva sembrare veramente un liceale. Luigi Sepe, da Torre del Greco, era pur sempre il portiere della Primavera e non si aspettava nemmeno di andare in panchina a Firenze. Fu, invece, una vigilia maledetta per i portieri napoletani. Fuori gioco Iezzo, out anche Navarro, toccò a Gianello, fuori anche lui per uno stiramento dopo mezzora di gioco. Ed in campo ci andò lui, baby Sepe, all’alba del 2009. La squadra, contro la Fiorentina, riuscì a recuperare il gol di Santana con Vitale ma poi a 10’ dal termine Montolivo diede la vittoria ai viola.
Il Napoli si presenta ai nastri di partenza delle Coppe e del campionato con una nuova maglia, quella della Puma con la banda bianca sul braccio, lasciando la classica e storica azzurra col colletto a “v”. E’ il torneo 1978-79. Ferlaino conferma Di Marzio ed il tecnico di Mergellina si affida ad una nuova filosofia, quella dei giovani o dello svecchiamento. Tra i titolari Pin e Ferrario sono i meno anziani ma c’è un gruppetto che, anche tra le riserve, scalpita. Si chiamano Tesser, Capone, Antoniazzi ed un certo Nuccio.
Per quest’ultimo Di Marzio stravede e lo fa debuttare addirittura in Coppa U.E.F.A., prima dell’inizio del campionato. La gara con la Dinamo Tbilisi in casa termina 1 a 1 (Savoldi su rigore) ed il piccolo siciliano gioca all’ala sinistra. Gli azzurri sono, però, eliminati per lo 0 a 2 dell’andata ma alla prima di campionato contro l’Ascoli, Nuccio subentra già nel primo tempo a Caso sull’1 a 1. Alla fine la sbroglia Savoldi all’89 e i 70000 tirano un sospiro di sollievo. Anche a Firenze Nuccio subentra allo stesso Caso a testimonianza del fatto che l’allenatore lo vedeva più trequartista che punta. Ma, con l’esonero di Di Marzio, finisce anche la bella favola del siciliano Santino.
Bagnare l’esordio nella squadra della tua città con una rete non è da tutti. Successe a Vincenzo Montefusco quando Pesaola, nel primo anno del ritorno in A (campionato terminato poi con la quarta retrocessione della sua storia), lo fece debuttare nella Genova rossoblù al posto di Fanello. Una bella emozione per un napoletano verace, uno che i giocatori che aveva al fianco in quella gara li aveva visti vincere la prima Coppa Italia pochi mesi prima, giugno 1962. Non diciamo idoli ma poco ci manca. Sapete, a Napoli, all’epoca non si vinceva poi molto.
La gara si mise subito in salita per gli azzurri, sotto di due gol fino a quando Enzo non indovinò la botta che poteva riaprire la partita. Il diciassettenne debuttante fece così bene che anche la settimana successiva fu schierato contro l’Inter, stavolta in coppia con l’altro debuttante (ma non minorenne) Juliano. Giacomini, futuro allenatore del Napoli, portò il Genoa sul 3 a 1 e solo Fraschini ridusse il risultato sul 3 a 2. Era, però, un Napoli ancora una volta ballerino che finì in B per il solito punto di differenza con la quart’ultima. Il Genoa, tanto per cambiare.
Tra una vittoria contro il Milan (Giordano e Bagni) ed una contro l’Avellino (Giordano), sempre in casa, il Napoli andò in trasferta con la Samp di Vialli e Mancini, Vierchwod e Bordon, Pari e Matteoli. E se i blucerchiati avevano già in formazione i giocatori che li avrebbero portati al primo scudetto sei anni più tardi, gli azzurri erano alla vigilia del loro, di scudetto.
Il cambio al vertice, via Marchesi e Juliano, arrivano Allodi e Bianchi, porta agli acquisti di Giordano, Renica, Garella, Pecci, Buriani e Filardi, elementi imprescindibili per il primo tricolore. La panchina, beh, quella era un po’ corta, come la classica coperta. Insieme a Caffarelli, Carannante, un giovanissimo Ferrara e Raimondo Marino, Bianchi poté contare solo sui giovanissimi Favo, Cimmaruta e Baiano. Quest’ultimo giocò 4 gare ed il suo debutto fu davvero sfortunato. Quel giorno di dicembre del 1985 il Napoli si trovò di fronte una Samp in formissima che tramortì gli azzurri con le reti di Lorenzo e Mancini. Baiano entrò in campo con il Napoli sotto di un gol e pochi minuti dopo arrivò il raddoppio del ‘Mancio’. Due a zero, partita chiusa.
Un rullo compressore, ecco cos’era il Napoli di quel girone d’andata del campionato 1988-89. Alla fine la spuntò l’Inter ma la sequenza di cinque vittorie consecutive, dal 5 a 3 a Torino con la Juve fino al 3 a 1 col Bologna, fu impressionante. Vittime sacrificali Juventus, Milan, Fiorentina, Verona e Bologna per un totale di 15 reti fatti e 5 subite. Appare anche logico che in questo squadrone qualche giovane potesse farsi le ossa e Bianchi, che già aveva lanciato l’altro scugnizzo Baiano, diede minutaggio ad un quintetto che poi ebbe alterne fortune.
I loro nomi erano Giacchetta, Portaluri, Bucciarelli, Ferrante e, dulcis in fundo, Giovanni Di Rocco. Quest’ultimo, nato e cresciuto a 200 metri dal Centro Paradiso di Soccavo, entrò giovanissimo nel Napoli facendo tutta la trafila, dagli Allievi alla Primavera. Quando, contro i felsinei, si trattò di sostituire Corradini, toccò a lui. Careca e doppietta di Maradona, risultato al sicuro. Negli spogliatoi il giovanotto confessò la sua emozione ma in campo apparve dotato di buone doti agonistiche.
Lui, sempre lui, quello fissato per i giovani. Chi? Ma Gianni da Mergellina, of course. Vulcanico ed appassionato, aveva fin dai suoi esordi in panchina creduto negli ‘sbarazzini’ dotati, lanciandone diversi. Uno, però, da cui non toglieva mai gli occhi da dosso in allenamento era lui, Gaetano ‘Nino’ Musella. Talento puro dalla classe cristallina, avrebbe meritato ben altre fortune piuttosto che peregrinare in altre squadre.
La ‘sua’ doveva essere il Napoli a vita. Così non fu ma, più maturo, nel torneo 1980-81 dove fu sfiorato lo scudetto, mise a segno 5 reti decisive per l’alta classifica degli azzurri. I motivi del talento, che rimase incompiuto, furono rivelati da lui stesso dopo la fine della carriera quando disse: “sinceramente non ho saputo gestire i miei momenti importanti”. Nel giorno del suo esordio viene schierato con il 10 sulle spalle e sostituisce quel matto anarchico di Pin. Fa belle giocate, tenta anche qualche numero da funambolo ma poi Di Marzio lo sostituisce con un altro prodotto locale, Casale. Musella avrebbe compiuto 18 anni dopo una settimana, è dunque l’ultimo minorenne in questa speciale classifica.
Testo di Davide Morgera (la prima parte potete leggerla qui). Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:
Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).
Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.
Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.
L’immagine di copertina e le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.