La moda Como…da e la nostalgia del calcio fai da te di Pippo Marchioro
Settembre 7, 2024Leggevo il giornale e mi assaliva il magone. La sensazionale campagna acquisti intrapresa quest’estate dal neopromosso Como, per volontà espressa del rampante tecnico catalano Cesc Fabregas, non si è fatta mancare nulla, tra Pepe Reina, Raphaël Varane (ma si paventa già un taglio per malanni fisici), Sergi Roberto, Nico Paz e il ‘gallo’ Belotti i lariani hanno messo su un’invidiabile ‘collezione di figurine’ che, però, deve pur sempre superare la prova del campo per mutarsi in una squadra vera.
Un po’ per questo, ma, allo stesso tempo, per la figuraccia rimediata dalla Nazionale di Spalletti agli ultimi europei tedeschi, pure per un calciomercato che, oltre all’arrivo di illustri sconosciuti, non disdegna l’ingaggio di vecchie glorie e, perché no, per la datata antipatia personale verso “I promessi sposi” – che da adolescente non ho mai amato per colpa di Lucia Mondella, tratteggiata dal Manzoni come protagonista tanto algida da fare concorrenza alla famosa marca di gelati – beh, per tutto questo mi è tornato in mente il Como di Pippo Marchioro.
Il Como di Pippo Marchioro
Quello che, con una magnifica doppietta tra il 1978 ed il 1980, si issa dall’inferno della C alla gloria della A, sempre da primo della classe, proprio come aveva fatto, con un anno di anticipo (dal ’77 al ’79, appunto), l’Udinese di Massimo Giacomini, il tecnico che – conquistata la A con le parate di Carlo Della Corna, la regia di Gigi Delneri e le reti di Carlo De Bernardi, Sergio Vriz, Claudio Vagheggi e, su tutti, Nerio Ulivieri – subito si accasa al Milan fresco campione d’Italia per raccogliere l’oneroso testimone nientemeno che dal ‘barone’ Nils Liedholm.
Ad esser malevoli, il Como di Marchioro pare assomigliare ad una di quelle zuppe buone per riciclare gli avanzi, partendo dallo stesso tecnico, artefice della promozione nella massima serie al termine della stagione ’74-’75, poi, l’anno successivo, capace di condurre il Cesena ad una storica qualificazione in Coppa Uefa, prima di bruciarsi subito dopo col Milan di Rivera.
Al suo ritorno sulla panchina lariana Marchioro ritrova una vecchia bandiera come il terzino Roberto Melgrati, insieme ad un paio di promesse non mantenute, come la talentuosa (ma discontinua) mezzala Doriano Pozzato (meteora al Bologna nel ’76-‘77) ed il granitico stopper Silvano Fontolan (ritornato alla base dopo una stagione da riserva con l’Inter ’78-’79), tutti reduci di quella formazione che, nonostante un’immediata retrocessione nella primavera del ’76, annoverava comunque il portiere-rigorista Antonio Rigamonti; Mario Guidetti, Alessandro Scanziani, Pasquale Iachini e Fortunato Torrisi in mediana; l’esperto Renato Cappellini e i due Rossi, Renzo e, soprattutto, Paolo, in attacco. Tutti elementi che la loro carriera, in ogni caso, l’avrebbero fatta, Pablito più di ogni altro.
La lista degli ‘ingredienti’ prosegue con un’altra gloria mancata, William Vecchi, storica ‘riserva’ e poi erede di Fabio Cudicini al Milan prima di passare al Cagliari, col quale sarebbe retrocesso nello stesso anno (sempre il ’75-’76) in cui i comaschi sono declassati tra i cadetti. Poi, spazio a tanti onesti mestieranti di B e C, come il libero Piero Volpi (nel frattempo laureatosi in medicina), il terzino Gigi Gozzoli, il playmaker Adriano Lombardi (l’anno precedente protagonista del primo torneo in A dell’Avellino) e le ali Massimo Mancini (scuola Fiorentina), Ennio Fiaschi (al suo attivo un biennio in A col Verona) ed Ezio Cavagnetto.
Senza dimenticare l’aitante terzino-stopper Giuseppe Marozzi (chiuso all’Ascoli ed appena una presenza nella massima divisione), uno scarto dell’Inter come il mediano settepolmoni Giancarlo Centi (che il nerazzurro l’avrebbe riconquistato illusoriamente dopo quattro anni in riva al Lario), un ragazzone di Montebelluna ancora allo stato grezzo, che, però, aveva avuto il tempo di esordire come attaccante e di segnare sempre con la casacca interista, ossia Aldo Serena, più due elementi cresciuti calcisticamente nelle giovanili del club, la punta centrale Marco Nicoletti – l’unico a poter vantare un’esperienza con l’azzurro della Nazionale under 21 di Azeglio Vicini, in concorrenza con ‘Spillo’ Altobelli – ed un marcatore roccioso e velocissimo, soprannominato ‘lo zar’ per via delle sue origini sovietiche (meglio, ucraine), Pietro Vierchowod.
La capacità di assemblare al meglio ciò che passa il convento
La bravura di Marchioro sta nell’assemblare al meglio tutti gli elementi che gli passa il convento, tramutando quella che poteva sembrare un guazzabuglio di componenti eterogenee in un puzzle riuscitissimo, che vince di filata il torneo cadetto ’79-‘80 e si guadagna con pieno merito la promozione in A grazie alle reti del duo in rima Nicoletti-Cavagnetto (23 centri in due, di cui 13 per il primo, peraltro capocannoniere del torneo), alle lucide geometrie di capitan Lombardi, alle sgroppate sulla fascia dell’ala destra Mancini ed alla estrosa fantasia sulla trequarti di Pozzato.
Con appena 17 reti subite in 38 gare si tratta di una compagine forte pure di una difesa di ferro, che conta sull’esperienza tra i pali di Vecchi (alla sua seconda giovinezza, in barba al cognome) e su un’eccellente coppia di mastini come Fontolan e Vierchowod, il primo protagonista, successivamente, nel Verona tricolore di Osvaldo Bagnoli, il secondo – forse tra i più forti difensori italiani di sempre – capace di vincere tutto tra scudetti, Coppe Italia, Coppa delle Coppe e Champions League con le maglie di Roma, Sampdoria e Juventus, senza contare la partecipazione con la nazionale al vittorioso mundial spagnolo dell’82.
La salvezza dei lariani di Pippo Marchioro nella stagione ’80-’81
La riprova della solidità dell’intelaiatura, registrata sapientemente dal tecnico milanese, è immediata, per il campionato ’80-’81 bastano pochi innesti per irrobustire l’organico con l’ingaggio del terzino sinistro Mariano Riva – già messosi in luce nella fantastica cavalcata dell’Udinese poco sopra rammentata –, di Maurizio Giovanelli e Renzo Gobbo quali valide alternative per i centrocampisti titolari e del centravanti-ala Roberto Mandressi, quanto mai referenziato, sia perché sfornato dal vivaio del Milan, sia perché Nils Liedholm, con una notevole dose d’ironia, l’aveva zavorrato con l’impegnativo nomignolo di “Rensenbrink della Brianza”, senza che, però, questo bastasse per garantirgli una luminosa carriera, tanto che in riva al Lario racimola appena 11 apparizioni ed una sola segnatura.
È quanto mai significativo ricordare che la rosa non presenta lo straniero tesserabile con la riapertura delle frontiere, decretata dal Consiglio federale. Una scelta nel solco dell’autarchia più piena, tipica di un calcio ‘provinciale’ (nel senso più positivo del termine) che oggi manca tanto.
In ogni caso, ce n’è d’avanzo perché la nuova avventura nella massima serie degli azzurri lombardi si chiuda con la tanto sospirata salvezza ai danni di un’altra neopromossa, il Brescia, condannato dalla classifica avulsa. Insomma, la ‘comoda’ strategia di mercato del nuovo Como – con investimenti prevalentemente all’estero e su nomi altisonanti – nulla ha a che spartire con la politica del riciclo o della valorizzazione dei talenti del settore giovanile portata avanti (con successo) più di quarant’anni fa e che, evidentemente, appartiene a tutt’altra epoca, quella del calcio ‘fai da te’. Poi, però, non lamentiamoci se da più di dieci anni l’Italia non partecipa ad un mondiale e ci fa vergognare agli europei…
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia: Pippo Marchioro ai tempi della Reggiana.