Totò Schillaci, ad occhi “sgriddati” verso la gloria

Totò Schillaci, ad occhi “sgriddati” verso la gloria

Settembre 18, 2024 0 Di Alfonso Esposito

Addio, Totò, le ‘notti magiche’ volano via con te. Per sempre.

Quella del ’90 è stata la tua estate, la nostra estate, con i mondiali vissuti sui balconi, nei giardini e nelle strade per tifare tutti insieme (allora era così…) la Nazionale, che, con Azeglio Vicini al timone, doveva rendere visibile e credibile il “largo ai giovani” preteso a gran voce dopo il tramonto dell’era del ‘vecio’ Enzo Bearzot e dei suoi fedelissimi legionari.

Eravamo alla disperata ricerca di un nuovo eroe popolare, degno erede dell’immenso Pablito Rossi. La stampa e l’opinione pubblica litigavano come sempre, già la scelta di affiancare a Franco Baresi, nel cuore della difesa, Riccardo Ferri – e non uno tra ‘Ciro il grande’ Ferrara o ‘lo zar’ Pietro Vierchowod – suscitava dubbi e dissensi.

Ma era nulla rispetto alla ‘guerra di religione’ che divampò per l’attacco.
Molti chiedevano che Vicini, senza pensarci su, confermasse stabilmente nella selezione maggiore la nuova coppia di ‘dioscuri del gol’, i gemelli sampdoriani Vialli e Mancini, dimenticando, però, che l’esperimento era già stato tentato ed entrambi non avevano entusiasmato più di tanto due anni addietro, quando i nostri sogni di gloria negli europei tedeschi erano stati brutalmente stoppati nella semifinale di Stoccarda da quella spietata macchina da guerra che era l’Urss di Lobanovskij.

In verità, se un po’ tutti erano d’accordo sul fatto che la nuova stella destinata ad accendersi fosse Vialli, più di Mancini – bravo quanto si vuole, eppure mai davvero convincente in azzurro – ci si scervellava, però, sul nome della spalla ideale per lui. Alcuni candidavano Andrea Carnevale, fresco campione d’Italia col Napoli di ‘Lui’ e di Careca, insomma, non uno qualunque, che Ottavio Bianchi, al tempo del primo scudetto partenopeo, aveva trasformato da torre d’area di rigore in un cavallone capace di poderose e travolgenti sgroppate sulla trequarti.

Per altri, invece, il partner adatto era il corazziere Aldo Serena, fregiatosi l’anno prima sia del trionfo tricolore con l’Inter ‘alla tedesca’ di Trapattoni, sia del titolo di capocannoniere con ben 22 reti all’attivo.

Poi restavate Roby Baggio – che, soprattutto con Stefano Borgonovo (altro gran bel talento offensivo) nella Fiorentina ne aveva fatte vedere di belle e bellissime, con dribbling, scatti e numeri da vero campione – e tu.

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Che, forse (o tolto il forse), della compagnia eri il meno referenziato, perché tra C e B non avevi messo il naso fuori da Messina e presentavi un solo anno di massima serie nel curriculum, sì, nella Juve di Zoff, che, tuttavia, con Zavarov e Rui Barros (mica ‘le roi’ Platini…) lo scudetto non lo vinceva da un po’ e, nell’ultima annata, aveva dovuto ‘consolarsi’ con la Coppa Italia e quella Uefa.

A te, comunque, che rinverdivi la nutrita colonia degli ‘emigranti’ che cercavano fortuna al nord tinto di bianconero – si pensi a Pietro Anastasi, Franco Causio, Beppe Furino, ‘Nanu’ Galderisi e Silvio Longobucco, se non si conta Claudio Gentile, libico di Tripoli, ma di origini sicule –, era andata alla grande, 15 centri al primo campionato di A rappresentavano un ottimo biglietto da visita, anche se, ammettiamolo, nessuno pensava che sarebbe bastato per farti largo tra gli aspiranti al grado di titolare.

Eri un po’ come un anonimo sergente tra vari ed aitanti tenenti, infatti Azeglio alla fine si decise a puntare su Vialli e Carnevale, eppure ti fu sufficiente appena un quarto d’ora nella gara d’esordio contro gli austriaci per andare a segno, giusto quattro minuti dopo essere subentrato proprio a Carnevale, in modo da minare le certezze del c.t. Anche con gli Usa sostituisti Andrea e, pur non andando a bersaglio, la sorte, ormai, era segnata, contro la Cecoslovacchia Vicini fece accomodare in panchina le punte titolari e dall’inizio scommise su te e Roby Baggio, che lo avete ripagato con una segnatura a testa.

Tutti sanno come, poi, andò a finire. La nuova coppia che aveva messo d’accordo gli Italiani e li faceva sognare alla grande rispose presente sia agli ottavi (contro l’Uruguay) che ai quarti (davanti all’Eire), ma la sorpresa, amara come il fiele, era dietro l’angolo perché, nella semifinale che vi opponeva ai campioni in carica dell’Argentina di ‘Lui’, Vicini smontò l’arma letale e rispedì sul terreno di gioco Vialli al tuo fianco.

Una mossa scellerata, che non pagò: già il ‘San Paolo’ di Napoli era conteso tra l’amore per l’azzurro della nazionale patria e quello del club di cui il ‘pibe’ era il condottiero indiscusso, ma pure tra gli stessi tifosi italiani molti ancora s’interrogano sul perché di una scelta così azzardata. I rigori ci dirottarono verso la finalina con l’Inghilterra. Tu, intanto, da ultimo arrivato diventasti, con sei reti, il bomber principe della massima manifestazione mondiale e ti levasti pure lo sfizio di piazzarti secondo nella classifica del ‘Pallone d’oro’ di quell’anno, dietro Lothar Matthäus.

Ma il tuo vero capolavoro è stato quello di unire gli Italiani forse anche più di quanto fece a suo tempo Garibaldi, quello è stato il tuo gol più bello, che nessun almanacco riporta, ma che nulla mai potrà rimuovere dalla nostra memoria.

C’è da scommetterci, nemmeno tutto questo ti ha convinto a guardare gli altri dall’alto in basso. Non ne eri capace. Per noi Italiani i tuoi occhi restano quelli che Andrea Camilleri definirebbe “sgriddati”, praticamente fuori dalle orbite, con lo sguardo di uno che ancora non crede a quello che gli sta succedendo, come capitò a Marco Tardelli che urlò a squarciagola dopo il raddoppio nella finale mundial dell’82 contro la Germania ovest.

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Ed anche se, in seguito, non ti sei fatto mancare nulla – l’epilogo della carriera nella terra del Sol levante, la partecipazione al reality dell’Isola dei famosi e qualche comparsata in film per la tv – resti l’unico in grado di prendere il posto, nei nostri cuori, di Pablito, con quelle movenze repentine, quell’opportunismo e quella fame di gol che tanto ce lo ricordavano.

Era destino che tu risplendessi, perché nello stesso anno – tra la scarcerazione di Nelson Mandela, l’inaugurazione del primo McDonald’s a Mosca (proprio così!) e l’addio al Partito comunista italiano, che con Achille Occhetto diventa Partito democratico della sinistra, perché il muro di Berlino era caduto ed il mondo cambiava velocemente – qualche mese prima Peppuccio Tornatore aveva vinto l’Oscar come miglior film straniero con “Nuovo Cinema Paradiso”, nel quale il piccolo protagonista si chiama Salvatore, come te, e da tutti è ribattezzato Totò, sempre come te. Che in quell’estate dolceamara del 1990 ci hai fatto sognare il paradiso calcistico ed ora vai a godertelo tutto, magari “sgriddando” ancora una volta gli occhi per la meraviglia, come solo tu sapevi fare. A noi, ora, non restano che le notti, meno magiche e molto più buie.

 

Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.

Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.

A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia (public domain) – Totò Schillaci a Italia ’90