Marco Macina, l’isola non trovata

Marco Macina, l’isola non trovata

Settembre 20, 2024 0 Di Simone Rinaldi

“Ma bella più di tutte l’isola non trovata

Quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino

Il Re di Portogallo, con firma suggellata
E “bulla” del pontefice in Gotico-Latino”.

(F. Guccini)

La recente vittoria della Nazionale di San Marino in Nations League dopo 20 anni dalla prima (sempre contro il Liechtenstein, ma stavolta in partita ufficiale), ha fatto sì che i media italiani puntassero nuovamente (seppur per poco) i riflettori sul football della Repubblica del Titano.

In molti hanno ricordato il più famoso calciatore Sammarinese di tutti i tempi, quel Massimo Bonini biondo centrocampista mille polmoni che nella Juventus del Trap doveva correre anche per Platini, poi dell’ultimo in ordine cronologico, quell’Andy Selva in forza tra le altre a Spal, Sassuolo e Verona e, fino a pochi giorni fa, autore dell’unico gol vittoria nella storia di San Marino.

Ma tra di loro c’è forse quello dalla storia più romanzesca e travagliata. Un misto tra un personaggio del Ciclo dei Vinti di Verga ed un attore hollywoodiano alla James Dean: Marco Macina.

Anno Domini 2023, a Casteldebole, nel Centro Tecnico dove cominciò la sua fortuna, il CT della Nazionale Campione d’Europa 2021 parla in un seminario ai giovani del Bologna. E salta fuori proprio il nome di Macina. “Tecnica e personalità sono importanti ma fate attenzione. Se sono qui oggi é perché sono migliorato attraverso il lavoro. Come compagno di squadra avevo un calciatore di nome Macina, non ho più visto nessuno col suo talento. Ma in allenamento non dava il 100% ed ha finito per perdersi “.

Torniamo al nostro. Macina nasce a San Marino nel 1964 (corsi e ricorsi storici…) e comincia da ragazzino a giocare a pallone. Già in tenera età fa presagire un futuro oltremodo roseo tanto, che il presidente di un Inter Club locale, quando lui gioca nelle giovanili del Tre Penne, scrive nientemeno che a Sandro Mazzola. “Qui abbiamo un fenomeno, venite a vederlo!”. E va bene, vediamolo.

Lo aspettano per il provino ma il ragazzo a Milano non arriverà mai a causa di un malanno. Fine del sogno? No, perché qualche mese dopo arriva la chanche offerta dal Bologna. Nel settore giovanile Rossoblu all’epoca lavorano due autentici guru come Soncini e Perani. È il 1977 e Macina, allora tredicenne, arriva a Casteldebole. Metà allenamento e lui e un altro ragazzino vengono presi da parte.

“Tu e tu, a fare la doccia, abbiamo visto abbastanza “

“Ma come? Siamo andati così male?”

“Che avete capito? Ci piacete, vi abbiamo già preso”.

Nome e cognome dell’altro: Roberto Mancini.

I due diventano amici ed in campo fanno faville bruciando le tappe nelle giovanili. Lo Jesino ha sulle spalle il 10, é una mezzapunta, come si diceva allora. Il Sammarinese é un attaccante di fascia dalla tecnica e dal dribbling brasiliani, capace di creare superiorità numerica quando la squadra attacca. Arriva per entrambi lo scudetto Allievi fino alla promozione in prima squadra nella stagione 1981/82, a diciassette anni.

Ma quale squadra trovano all’esordio tra i professionisti i due gioielli del vivaio? Il Bologna agli ordini di Tarcisio Burgnich subentrato a Radice (andato a…farsi esonerare al Milan), reduce dalla migliore stagione degli ultimi dieci anni, ha come obiettivo quello di confermarsi puntando proprio sui giovani che il DS Sogliano recluta nelle serie minori, da inserire in un’intelaiatura già colladuata da anni.

Ci sono però anche dolorose cessioni, Dossena in primis, ma il Presidente Fabbretti è fiducioso e con la sua strampalata sintassi continua a ripetere che “il Bologna di cui è forte”.

Il campo però dice altro: la difesa fa acqua, il tedesco Neumann, che non dovrebbe far rimpiangere Dossena, quando non è infortunato è inguardabile, gli attaccanti (Fiorini ed il redivivo Chiodi) segnano col contagocce e i giovani sono talmente bravi…che nessuno di loro rivedrà mai più la serie A.

E i due ragazzi? Freschi campioni d’Europa con la Nazionale Under 16 (quando San Marino non ha ancora una propria federazione) partono con la speranza di giocare qualche partita ma avranno un andamento opposto.

Mancini fa il suo esordio da subentrante alla prima giornata e, dopo aver segnato alla quinta a Como, non esce più, concludendo la stagione con ben otto reti all’attivo.

Macina invece vede il campo solo otto volte, mai da titolare e senza confermare le mirabilie mostrate a livello giovanile.

Su di lui si mormora, si dice che in allenamento tiri spesso indietro la gambina e che non faccia esattamente vita da atleta, specie al calar del sole. Intanto, il 16 Maggio 1982 il Bologna, nonostante la sostituzione di Burgnich con quel Liguori, talentissimo sfortunato di dieci anni prima, cade per la prima volta in serie B.

Fabbretti é l’uomo più odiato tra il Savena ed il Reno ma a chi lo contesta risponde per le rime: “io vi prometto che il Bologna di cui tornerà subito su”. In una B che propone tra le altre anche Milan, Lazio e Catania.

I presupposti sembrano buoni, a partire dal rientro bomba di Radice. Il tecnico lombardo accetta con entusiasmo e proclama: “risorgeremo con i nostri ragazzi!”. Al mercato doverosa piazza pulita, ma vengono confermati Capitan Colomba, Paris, Zinetti e Fabbri, autentici lussi per la B. Poi ci sono Bachlecner e De Ponti di ritorno e innesti di categoria come Frappampina e Sclosa.

Gol di Frappampina

Ma, mentre i calciofili italiani cantano e ballano nelle piazze dopo Italia-Brasile al Sarriá, il presidente cede alle lusinghe dell’ex DS Paolo Borea e cede Mancini alla neopromossa Sampdoria per tre miliardi (signora cifra per l’epoca) più quattro giocatori: Logozzo, Roselli, Galdiolo e Brondi. Tra di essi si distinguerà solo il primo. Scambio di accuse tra Presidente e Allenatore con l’ultimo che straccia il contratto obbligando il neo DS Bulgarelli a ripiegare su Alfredo Magni.

Per Macina una B di alto livello (anche senza Mancini la squadra sulla carta è da primi sei posti) potrebbe essere la stagione della consacrazione ma, complice una società spappolata, col Presidente che finisce in galera (nemmeno miliardi intascati riuscirono a salvarlo dal fallimento delle sue compagnie assicurative) e che si riflette sul tremendo andamento della squadra, il ragazzo stenta come tutti. Sia Magni che il subentrato Carosi lo impegnano poco o nulla: quattordici presenze e due reti.

Intanto il nostro riceve anche una brutta letterina da Bulgarelli che lo mette fuori squadra dopo che un emissario lo ha beccato a tarda notte in un locale nel vortice delle danze – “no, non é vero che facevo sempre tardi in discoteca. Avevo quella nomea però. Dopo tanti anni adesso che mi costerebbe ammetterlo?”  – dichiarerà poi lo stesso Macina anni dopo alla Rosea.

A Giugno, nonostante l’avvento di Cervellati, la squadra cade addirittura in C.

Macina, ormai ripudiatissimo, resta in B in prestito all’Arezzo, poi viene ceduto definitivamente al Parma l’anno successivo.

Le due emilane hanno vinto il girone A della C1 ma in B faticano, soprattutto i ducali, stabilmente negli ultimi posti. In inverno al Tardini è derby ed un polemico Macina alla vigilia tuona: “segnerò io, il Parma vincerà 1-0”, cosa che effettivamente avviene, con una bella rete di sinistro.

Nonostante il ritorno in C dei crociati il giocatore sembra essersi ritrovato, tanto è vero che nientemeno che Nils Liedholm lo vuole al Milan, che già dispone di Hatley, Virdis e Paolo Rossi ma che ha bisogno di qualcuno per completare le rotazioni in vista della coppa UEFA.

A ventunanni sembra finalmente arrivato il momento buono, ma la concorrenza è tanta e la Metropoli è tentatrice.

Dieci presenze in tutto tra campionato e coppe. Poi il Milan passa da Farina a Belusconi che punta a fare le cose in grande e quel ragazzo che “mi dicono che si alleni poco” viene mandato in prestito alla Reggiana in serie C e, dopo un buon campionato, ancora in prestito ed ancora in C, all’Ancona.

Milano e il Milan di Berlusconi: come cambiarono l’Italia e l’Europa

E qui succede il fattaccio. Durante il match con l’Ospitaletto di Maifredi, quarta di campionato, Macina accusa un dolore: “sembrava solo una distorsione, il ginocchio non si era gonfiato – racconterà più tadi – riuscivo a correre dritto, non a fare i cambi di direzione, quindi continuai ad allenarmi. A dicembre feci un’artroscopia: rottura del legamento collaterale, il responso. Fui operato, persi tutta la stagione.

Anche qui, come con le tempistiche del mio trasferimento al Milan, ci fu una situazione particolare: se il ginocchio avesse dato subito problemi, e mi fossi operato immediatamente, non avrei perso tre mesi…”

La carriera agonistica di quel quindicenne che era meglio di Mancini si conclude di fatto lì a 23 anni. Diventa proprietario del cartellino ma secondo le leggi dell’epoca deve stare fermo due anni, dopodiché ci saranno contatti con Rimini e Lucchese ma resteranno lettera morta.

Successivamente, l’avventura con la neonata Nazionale Sammarinese: tre partite a fianco di Bonini prima di dire definitivamente basta.

Chi è oggi Marco Macina? Un tranquillo sessantenne che lavora per il Ministero del Turismo della Repubblica di San Marino, il calcio lo ha più o meno dimenticato e lui ha più o meno dimenticato il calcio.

Marco Macina, ovvero la Rosa che Non Colsi.

 

Testo di Simone Rinaldi. Tifoso del Bologna e della Virtus, Simone vive lo sport a 360 gradi. Pubblica quotidianamente contenuti sui suoi gruppi “Calcio Caraibi” (con Davide Tuniz) e “Sportsaround” (con Luca Sisto). Per passione scrive su Football&Life.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia.