Giuliano Giuliani, un portiere come me
Settembre 30, 2024Il Napoli di Antonio Conte, che oggi veleggia (momentaneamente, è ovvio) in vetta alla classifica di Serie A dopo 6 giornate appena, aveva cominciato piuttosto male la stagione, crollando inesorabilmente alla prima di campionato a Verona.
Nel pre-partita, un piccolo cerchio della vita si era chiuso: sul terreno di gioco, in una veloce e commovente cerimonia, si ricordava Giuliano Giuliani, che aveva militato per entrambi i club negli anni ’80, ai tempi di Maradona.
Subito la memoria mi aveva portato indietro nel tempo ad un episodio di qualche anno fa, nella casa dove sono cresciuto.
Una foto sbiadita, in un album di famiglia. Una piccola ferita d’infanzia che si riapre. La ricorda bene mio fratello: “in questa foto sono triste, il Napoli stava perdendo a Verona, 3-0”. Ironia della sorte, lo stesso punteggio con cui si sarebbe conclusa la prima di Conte in A da allenatore del Napoli.
Già, non un bel rapporto con l’Hellas. Al Bentegodi, il Napoli, versione 1984-85, aveva giocato la prima di campionato, l’esordio di Maradona in serie A. In quel caso finì 3-1, ancorché giovane preludio al clamoroso Scudetto di quella stagione veronese, e a difendere i pali di quel leggendario Hellas di Osvaldo Bagnoli c’era Claudio Garella.
Giuliano Giuliani e il primo rigore parato a Maradona
Ma quella domenica, 12 aprile 1987, la musica era completamente diversa. Garellik giocava per i nostri colori, quelli azzurri. Il Napoli veleggiava verso il primo, magico Scudetto.
E in porta nel Verona presenziava un certo Giuliano Giuliani, ex Como, nativo di Roma. Quello che, nella stagione precedente, quando Ferlaino si era convinto a dare il benservito al Giaguaro Castellini, aveva sostituito proprio Garella, e aveva fatto da spettatore pagato e non pagante alla riscossa maradoniana, tradotta in un 5-0 al San Paolo, con tanto di pallonetto da 40 metri a infilare la palla in porta e a fotografare lo stesso Giuliani, in un’istantanea in cui abbraccia il montante destro, scuro in volto per l’umiliazione subita.
Egualmente nervoso era mio fratello in quella foto a Montevergine. “Il Napoli prese 3 gol, tutti nel primo tempo, così il secondo lo seguii attaccato all’autoradio, ma niente. Anzi, Diego sbagliò pure un rigore”. Rapporto particolare, quello di Maradona con i calci di rigore, quella stagione. A Tolosa aveva fallito quello decisivo, nella lotteria di rigori valida per i 32esimi di Coppa Uefa. Il 3-0 per il Verona fu altresì frutto di un gol di testa di Pacione, che svettava altissimo, di un’autorete di Renica, veronese di nascita, su sortita offensiva del libero Tricella, e di un rigore conquistato e realizzato dal danese Preben Elkjaer Larsen.
Nella seconda frazione il penalty di Maradona esaltò le doti di Giuliani, che si era tuffato in bello stile alla sua destra deviando in angolo, con la punta delle dita della mano di richiamo. Una parata straordinaria, prima che una traversa di testa di Carnevale spegnesse definitivamente le speranze di rimonta, tra i soliti “sfottò”, se così li vogliamo chiamare, dei sempre caldi sostenitori gialloblu, già galvanizzati dalla notizia della settimana: la pizzeria I Tigli di San Bonifacio, nel veronese, era stata eletta la migliore d’Italia, alla faccia dei pizzaioli napoletani. Nel caso vi trovaste a Verona, andateci, è ancora buonissima.
Il Napoli ebbe modo di riprendersi, battendo il Milan al San Paolo e conquistando, il 10 maggio, dopo i pareggi con Como e Fiorentina, il suo primo agognato Scudetto con una giornata d’anticipo. Il double arrivò poco più di un mese più tardi, in Coppa Italia contro l’Atalanta. Caso più unico che raro, ai tempi, vincendo tutte le partite della manifestazione.
Ancora Giuliani e Maradona
Nella stagione successiva, sulla ruota di Giuliani, ricomparve il 10 di Maradona. Ancora un Napoli lanciatissimo, prima del solito calo, stavolta fatale, nella seconda parte del campionato. Si era solo alla dodicesima giornata, e gli azzurri al San Paolo liquidarono l’Hellas 4-1. Maradona trovò sì la rete, ma anche il modo di farsi ipnotizzare nuovamente da Giuliani. A differenza di pochi mesi prima, el Diez incrociò alla sinistra del portiere, che respinse a due mani in tuffo. Giuliani deve aver fatto lo stesso ragionamento del tiratore, ovvero che Diego avrebbe cambiato angolo.
D’altronde succede, quando si registrano due massime punizioni con gli stessi antagonisti a breve distanza temporale, che il momento del penalty si trasformi in una piccola battaglia nella battaglia, fatta di giochetti psicologici e di portieri che tentano di leggere nella mente dei tiratori, o viceversa. Chiedere informazioni al portiere della Jugoslavia e dello Sporting Lisbona Ivkovic, che pure ha neutralizzato due rigori a Maradona, fra Coppa Uefa e mondiali di Italia ’90 (in entrambi i casi, ironia della sorte, vinse comunque la squadra di Diego).
La stagione 1987-88 si concluse come sappiamo. Il Milan vinse 3-2 al San Paolo lo scontro Scudetto, con il Napoli che aveva da tempo finito la benzina e l’ombra del totonero che tornava ad aleggiare in città. Diversi giocatori ne pagarono lo scotto, fra cui Bagni e lo stesso Garella. E a chi pensò il Napoli per sostituire il portiere dei due “primi scudetti” di Hellas e Napoli? Precisamente a Giuliano Giuliani, che si trovò a ripetere la staffetta di tre stagioni prima a Verona. Non sarebbe neppure stata l’ultima, fra i due.
Una damnatio memoriae assurda
Per me che ero cresciuto idolatrando Pino Taglialatela, Giuliani era una sorta di eroe silenzioso e col tallone d’Achille della papera, intervallata da veri e propri miracoli in cui spingeva gambe, braccia e busto alla ricerca di palloni sparati dagli attaccanti in ogni angolo della porta. Ancora oggi, ritengo assurda la damnatio memoriae a cui è stato sottoposto Giuliani, che non vedrete mai nelle formazioni ideali della storia del Napoli, né tantomeno verrà menzionato fra i bei ricordi dei tifosi di qualsivoglia età. Al contrario, di lui ci si ricorda essenzialmente per due episodi, entrambi avvenuti in Coppa UEFA, e che ne segnarono il destino calcistico, etichettandolo come “inaffidabile”.
Il primo, nella finale d’andata vinta contro lo Stoccarda. I tedeschi erano passati in vantaggio con un tiro di un centrocampista di origine campana, Maurizio Gaudino, da fuori area. Conclusione apparentemente innocua, sulla quale Giuliani non era stato affatto irreprensibile, facendosi passare il pallone fra le gambe dopo aver mancato una facile presa.
Il Napoli rimontò e vinse 2-1, fra le polemiche arbitrali e in mezzo a tante successive illazioni sul conto del direttore di gara, il greco Germanakos. A fine gara, fatto curioso, il giornalista Italo Khune, inviato sul manto erboso del San Paolo, intervistò proprio Gaudino, che si lasciò andare ad uno spettacolare quanto sgrammaticato commento che mise fuori causa lo stesso Khune: “Due a uno ci abbasta”, con il giornalista che gli fece eco “Ah, due a uno vi abbas…vi basta!”
Il Napoli pareggiò 3-3 a Stoccarda e conquistò la Coppa. Sul 3-1, del resto, De Napoli e Giuliani combinarono due frittate a pochi minuti dalla fine, delegittimando una vittoria strepitosa degli azzurri. Commento laconico del centrocampista avellinese a riguardo: “li ho fatti pareggiare li ho fatti…!”
Ma la seconda partita per la quale Giuliani si è attirato le ire degli ingrati tifosi partenopei è la gara di ritorno a Brema contro il Werder, stessa coppa ma edizione successiva. Il Napoli aveva già rocambolescamente perso l’andata, in casa, 3-2. Un risultato che, probabilmente, non lasciava molto spazio a velleità di rimonta in Germania. Anche perché c’era uno Scudetto da conquistare, e gli azzurri avevano già dimostrato le proprie difficoltà nel reggere il passo su più fronti. Il Werder vinse quella partita 5-1 e Giuliani commise almeno due errori giganteschi, tanto che nel secondo tempo la difesa azzurra sembrò disinteressarsi degli attacchi teutonici, lasciando completamente solo l’estremo difensore.
L’ultima staffetta fra Giuliani e Garella
Alla fine dei giochi quel Napoli conquistò il secondo Scudetto, “più bello ancora” del primo. A detta di qualcuno. In casa, in serie A, solo la Samp uscì con un punto dal San Paolo. In trasferta il ruolino di marcia non fu altrettanto magico, e un Milan con la testa alla seconda Coppa Campioni di fila rischiò seriamente di giocare un altro brutto scherzo ai partenopei. Fu la fatal Verona, che spesso ritorna, a mettere KO i rossoneri di Sacchi, proprio mentre i gialloblu di Bagnoli chiudevano il decennio più incredibile della propria storia, tornando mestamente in B.
Quell’estate in cadetteria ci sarebbe finito pure Giuliani, ma da campione d’Italia. Lo prese l’Udinese, che rimpiazzò, udite udite, Garella. E sono tre.
Ferlaino, dal canto suo, superstizioso com’è, decise di puntare su un altro portiere col cognome che cominciasse per G. Anzi, tanto meglio, le cui iniziali fossero una doppia G: Giovanni Galli. Col placet di Maradona, si intende, che aveva fotografato più volte il buon Giovanni, due delle quali meritano menzione: la punizione al San Paolo nel triste 2-3 del primo maggio 1988 (vedi righe più su) e la rete dell’1-1 con la quale Diego pareggiò i conti contro l’Italia nel raggruppamento mondiale di Messico 1986. Quel, Messico 1986.
Il 17 novembre 1996 era domenica. I miei amici ed io c’eravamo riuniti sul muretto del Parco Bausano di Fuorigrotta, dopo aver acquistato il giornale per consultare formazioni e numeri in vista del Fantacalcio. Un trafiletto ricordava di un calciatore venuto a mancare tre giorni prima. Aveva giocato nel Napoli, e una grave malattia se l’era portato via.
Qualcuno faceva notare di averlo persino visto allo stadio. Qualcun altro fece il nome di Freddie Mercury. Noi ragazzi sapevamo cosa volesse dire quella malattia. Al tempo, una sentenza di morte.
Mi venne in mente una canzone, anzi due, per ricordare Giuliano. Perché gli eroi sono così, muoiono giovani e belli.
Sì perché Giuliani d’estetica se ne intendeva. Aveva sposato la soubrette Raffaella Del Rosario, una bellezza mica da ridere, che gli sarebbe rimasta al fianco fino alla fine, anche dopo la separazione.
Tornai a casa, presi la musicassetta con la raccolta dei brani dei Queen e di Freddie, e misi su “Living on my own”, come ogni domenica, che in quel caso mi faceva riflettere sul mondo del calcio, che Giuliani l’aveva accantonato. E “Who wants to live forever”, perché del resto, se sono qui a scriverne, gli eroi d’infanzia sono a loro modo immortali.
Il Napoli sarebbe sceso in campo, quella domenica al San Paolo, contro il Perugia, col lutto al braccio. Vinse 4-2. A suo modo, un omaggio a Giuliani che avremmo rivisto solo 28 anni più tardi.
Giuliani era l’eroe di tutti? No, forse solo il mio e di pochi altri.
Ma di certo voglio ricordarlo per quello che era: un portiere, come me.
Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio e basket, tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun, lavora nel turismo.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia: Giuliano Giuliani nel 1993, ai tempi dell’Udinese.
Parte del testo è contenuta in un pezzo, a firma dello stesso autore, nel libro “Quel grande prato verde” – a cura di Gerardo De Blasio (Ed. Ultrasport).