Sol Bamba, Fabio Pecchia e lo strano cerchio del calcio e della vita

Sol Bamba, Fabio Pecchia e lo strano cerchio del calcio e della vita

Settembre 30, 2024 0 Di Luca Sisto

Sol Bamba aveva all’incirca la mia età e di mestiere faceva l’allenatore in Turchia.

Era nato a Parigi da genitori ivoriani, e nelle giovanili del PSG aveva cominciato la sua carriera di calciatore, in qualità di difensore sinistro, un ibrido fra un centrale e un terzino che oggi andrebbe molto di moda, ma che anni fa in Italia non fu ben compreso.

E così, questo ragazzone acquistato dal Palermo nell’estate del 2014, nazionale degli Elefanti, registrò una sola presenza ufficiale, in serie A, con i rosanero.

Al San Paolo. Contro il Napoli.

Era un’anonima serata di metà settembre. Resa incandescente da un ambiente reduce da due sconfitte di fila contro il solito Chievo (gol di Maxi Lopez) e l’Udinese (Danilo). Non solo. Il Benítez 2 era già crollato a Bilbao nel playoff per accedere alla Champions.

In panchina, accanto all’allenatore spagnolo, sedevano il suo secondo Fabio Pecchia e un Pipita Higuain che avrebbe vissuto un vero e proprio annus horribilis, prima della definitiva esplosione, e che quel giorno aveva lasciato il posto a Duvan Zapata nella logica del turnover.

Finì con un rocambolesco 3-3. Col Napoli che sciupò un doppio vantaggio iniziale e fu rimontato da Vazquez e da una doppietta di un giovane Belotti, che brillò accanto alla giovanissima stella della Joya Dybala.

Bamba non rivide più il campo. Fu ceduto in Inghilterra dove fece una buona carriera, fra Leeds, Cardiff e ‘Boro.

È morto a 39 anni, dopo una lunga malattia che pensava di aver superato tempo fa.

Mentre lasciava questa terra, dall’altra parte del Mediterraneo, sulla stessa panchina di dieci anni fa, ma in qualità di allenatore degli ospiti, sedeva proprio Fabio Pecchia.

Chissà se il Mister si ricorda di quel ragazzone che aveva già incrociato, un’anonima e calda sera di settembre. E che in tanti hanno voluto omaggiare, per il suo sorriso, il suo essere solare, perfetto uomo spogliatoio, amico e compagno di vita per la sua famiglia.

Il Parma di Pecchia, intanto, aveva cominciato la stagione 2023-24 da neopromossa, ma anche con una prestigiosa vittoria contro il Milan alla seconda giornata. Si è arreso al Napoli solo dopo l’espulsione del portiere giapponese Suzuki per doppia ammonizione, con i ducali che, esaurite le sostituzioni, erano stati costretti a mandare in porta il terzino Delprato. Da quella sera il Parma sembra non essere più lo stesso, e il buon Fabio da Formia – che nel Napoli ha esordito in Serie A e ha giocato in due diverse fasi della carriera (prima dal 1993 al 1997 e poi, retrocedendo in B, nella sua seconda avventura nel 2000-01) e che a Napoli si è anche laureato in giurisprudenza, alla Federico II – starà rimpiangendo l’inerzia negativa in cui i suoi sono precipitati dall’espulsione di Suzuki.

Di contro, il Napoli, una seconda casa per Pecchia, ha tratto slancio da quella vittoria, raggiungendo momentaneamente la vetta della classifica grazie ad una serie di quattro vittorie e un pareggio allo Stadium contro la Juventus, altra ex squadra di Pecchia, con la quale il nostro vinse lo Scudetto 1997-98 – quello dei veleni del contatto Iuliano – Ronaldo – giusto in tempo per evitare di finire invischiato nella prima drammatica retrocessione del Napoli dell’era Ferlaino.

Sarebbe però tornato, in età matura, per prendere parte alla seconda, sfortunata quanto meritata per i problemi societari del duo Ferlaino – Corbelli, che segnò l’inizio della fine del Napoli com’era conosciuto prima di De Laurentiis.

Fabio Pecchia con la maglia del Napoli (Wikipedia)

Ma siccome siamo in tema di cerchi che si chiudono (mentre quello di Fabio allenatore è ancora apertissimo), ci piace ricordare un Fabio Pecchia versione 1996-97, l’ultima stagione del suo primo ciclo napoletano da calciatore, qui ritratto prima di Napoli-Perugia 4-2 del 17 novembre 1996: Pecchia e i compagni hanno il lutto al braccio, giacché tre giorni prima era venuto a mancare Giuliano Giuliani, ex portiere azzurro del secondo Scudetto e della Coppa UEFA vinta nel 1989, a causa dell’AIDS.

Ci sarebbero voluti altri 28 anni per ricordarlo, sul terreno di gioco del Bentegodi, prima di Verona – Napoli 3-0 di questa stagione.

Anche quella stagione ebbe un epilogo sfortunato per il Napoli, allenato da Vincenzo Montefusco, uomo della società e traghettatore per antonomasia, che aveva sostituito Gigi Simoni (il quale aveva fatto arrabbiare non poco Ferlaino per aver firmato un pre-contratto con l’Inter di Moratti) in corso d’opera.

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Chiunque tifi Napoli e abbia più di 35 anni non può che ricordare l’esultanza di tutto il popolo partenopeo al gol in rovesciata di Pecchia nella finale di Coppa Italia d’andata, al San Paolo contro il Vicenza.

La sconfitta per 3-0 ai supplementari della gara di ritorno è la classica ferita d’infanzia ancora aperta, che neppure i successi dell’era De Laurentiis hanno saputo rimarginare del tutto, e aprì la strada ad una rifondazione completamente sbagliata, che avrebbe portato alla già menzionata retrocessione e ad una crisi societaria senza fine.

Già perché le sofferenze che patiamo da ragazzi restano nel profondo dell’anima. E, per quanto abbia personalmente stretto un legame con la città di Vicenza, quel gol di Pecchia rappresenta ancora oggi un ricordo dolce e amaro, esultanza incontenibile e al contempo preludio ad una lunga stagione di dolori.

 

Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio e basket, tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun, lavora nel turismo.

Immagine di copertina riadattata da originale di Wikimedia Commons.