Sergio Vatta: il ‘mago’ di Zara e l’incantesimo della primavera granata
Ottobre 19, 2024Per chi, come me, è cresciuto a pane ed almanacchi, erano sempre di estremo interesse quelle pagine, di solito nella sezione finale del volume, che sinteticamente ragguagliavano sull’ultima edizione del Torneo di Viareggio, o “Coppa Carnevale”.
Altro non erano che la memoria cartacea di un appuntamento che definire imperdibile era davvero poco. Nella città del Carnevale e delle vacanze in Versilia si sfidavano le promesse delle selezioni ‘primavera’ d’ogni donde, non era fuori luogo definirla una rassegna mondiale del calcio giovanile.
E a quei tempi la Rai era assidua nel trasmetterne gli incontri, non solo quelli di cartello. Fu allora che, seppur a distanza, il ‘mago di Zara’ mi stregò con una serie di incantesimi che ebbero facile presa su un ragazzo che del pallone era già innamorato perso.
Era nato in una di quelle città contese tra l’Italia ed i Paesi confinanti ad est, Zara, appunto, inclusa nella regione della Dalmazia e che tra la Repubblica di Venezia, Napoleone e gli Austriaci ne aveva viste di potenze straniere occuparla.
A Zara il ‘vate’ Gabriele D’Annunzio rivolse un accorato appello a poche ore dal Natale del 1915, Zara che, come Trieste e Trento, era terra ‘irredenta’, non redenta dal dominio straniero, e doveva tornare ad essere italiana per sempre.
E a Zara, appunto, era nato Sergio Vatta, apparentemente un allenatore di calcio del settore giovanile del glorioso Torino, ma di fatto il mago che donò alla primavera granata l’eterna giovinezza. Non gli occorreva la bacchetta magica, gli bastava un “a me gli occhi” per capire le doti delle giovani speranze affidate alle sue cure e per ricavare il meglio da ognuna di loro.
Il capolavoro della sua capacità ‘magica’ si materializza nel quinquennio che va dal 1984 al 1989, quando si fregia del titolo di campione d’Italia nell’85 e nell’88 (senza dimenticare un altro scudetto conquistato nel ’91) e per quattro volte si aggiudica il ‘Viareggio’ tra l’84 e l’89, senza dimenticare le sei Coppe Italia primavera portate in dote al Toro.
Quanti talenti lanciati da Sergio Vatta!
Innumerevole la schiera di talenti da lui sgrezzati e lanciati in prima squadra e nel calcio che conta: partendo da Pietro ‘Pedro’ Mariani, in gioventù prolifico bomber, poi convertitosi in centrale difensivo grintoso ed affidabile; passando per la mezzala Claudio Sclosa ed il cursore Dante Bertoneri, il difensore-mediano Silvio Picci ed il classico regista Giuseppe Scienza, per poi arrivare a Marco ed Ezio Rossi.
Tra gli allievi di maggior profitto, però, vanno annoverati, nel ruolo di libero, Roberto Cravero, da molti indicato come un nuovo Franco Baresi, e Giuseppe Argentesi; lo stopper Silvano Benedetti e Giovanni Francini, all’occorrenza sia marcatore che terzino fluidificante; le punte Franco Lerda e, soprattutto, Antonio Comi, aitante centravanti anche lui riciclato come difensore centrale per la sua eccellente visione di gioco; il ‘sindaco’ Marco Osio, punta di movimento o anche trequartista; Roberto ‘Rambo’ Rambaudi, ala che, con Ciccio Baiano e Beppe Signori, formò quel formidabile tridente meravigliosamente letale che diede lustro al fantastico sogno di ‘Zemanlandia’.
Fino all’ultima covata di ‘campioncini’, tra i quali il portiere Di Sarno, il marcatore Massimo Brambati, gli incontristi Gianluca Sordo e Sandro Cois, l’elegante regista Giorgio Venturin, l’estroso esterno offensivo Frederic Massara, il fantasioso trequartista Benny Carbone, il centravanti Giorgio Bresciani (uno col fiuto del gol alla Paolo Rossi) e, su tutti, Bobo Vieri, cannoniere tra i più prolifici della nostra seria A e della Nazionale, il polivalente jolly Dino Baggio, il cursore di centrocampo Diego ‘turbo’ Fuser, travolgente nelle progressioni, e l’ala Gigio Lentini, condensato vivente di potenza, velocità e tecnica, probabilmente il vero fiore all’occhiello (sotto il profilo qualitativo) e, al contempo, la più eclatante delle promesse non del tutto mantenute tra i virgulti della gestione Vatta, perché in molti ancor oggi pensano che, anche in Nazionale, fosse destinato a ben altri traguardi rispetto alle sole 13 presenze racimolate in azzurro.
Per quanto mi riguarda, però, il ricordo più struggente e malinconico mi riporta ad Alvise Zago, centrocampista completo e gemma purissima di un settore giovanile fertile come la più rigogliosa delle pianure fluviali. Alla sua prima stagione da titolare, nel campionato ’88-’89, macchiato al termine dalla retrocessione tra i cadetti, Zago diventa subito titolare e pedina fondamentale della mediana granata, fin quando, dopo 17 presenze e due reti, si devasta interamente il ginocchio destro a causa di un terrificante scontro in quota col sampdoriano Victor Muñoz.
È l’epilogo quanto mai prematuro di una carriera che si presentava luminosissima, eppure, dopo un lungo stop, proseguita nell’anonimato per quello che un po’ tutti presumevano, a giusta ragione, che fosse un predestinato.
Forse Zago rappresenta il rimpianto più vivo per Vatta, che su di lui aveva scommesso ad occhi chiusi allenandolo. Il ‘mago’ era uno che se ne intendeva, eccome, tanto che dal ‘91 entra nei quadri tecnici federali come responsabile delle under 16 e 17 della nazionale. Il giusto riconoscimento per un vero maestro, tale non solo per i suoi allievi, ma per tanti dei suoi colleghi.
Su Napoli, oggi, si è abbattuta una pioggia che il ‘vate’ D’Annunzio definirebbe ‘sferzante’. Uno scenario mesto, che fa il paio con la tristezza di chi, come me, rimpiange i tempi in cui vi erano ancora presidenti e dirigenti disposti ad investire considerevolmente sui vivai e a lanciare nel calcio ‘adulto’ tante giovani speranze. Senza cedere, per moda o calcolo miope – credendo di risparmiare sui costi di investimento, che si mutano, tuttavia, in costi di spesa, lievitati dalle ingenti percentuali delle commissioni – alla tentazione di importare calciatori di dubbio rendimento, che non si è visto crescere e che, magari, vantano nel loro personale ‘pedigree’ solo l’autorevole sponsorizzazione di procuratori interessati.
Soprattutto per questo manca tanto quell’epoca in cui il calcio era sia incantesimo che coraggio e l’interminabile carrellata di talenti proposta appena sopra (chiedo venia se ho omesso di nominarne qualcuno) costituisce la prova di quanto la fiducia nei ragazzi, se nutrita da passione e competenza, produca sempre i suoi frutti.
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina riadattata da screenshot di un’intervista presente su YouTube.