
Bruno Neri: l’uomo con le mani sui fianchi
Ottobre 20, 2024La storia dello sport è ricca di gesti iconici, talvolta di protesta, che a distanza di anni rimangono indelebili nella memoria collettiva. Gesti, appunto, passati alla storia come il pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico nel 1968 o il rifiuto, da parte di Muhammad Alì, di arruolarsi nell’esercito americano in piena Guerra del Vietnam.
Qualche decennio prima, nel 1931, un uomo fu autore di un gesto che si è ormai perso nel tempo. Un gesto coraggioso simbolo della volontà, spesso inespressa, di non piegarsi al regime fascista e che rimarrà purtroppo un tentativo isolato di cambiare il corso degli eventi.
Firenze, 10 settembre 1931
Oggi tutto lo conosciamo come Artemio Franchi, ma la prima denominazione dello stadio della Fiorentina fu Stadio Giovanni Berta, in memoria del politico e militante fascista ucciso a Firenze dieci anni prima. L’inaugurazione ufficiale dell’impianto avverrà poi qualche giorno più tardi, il tredici per l’esattezza, ma è il 10 settembre del 1931 che il nuovo campo cittadino è teatro di un gesto raro e difficilmente ripetibile viste le drammatiche ripercussioni che avrebbero potuto seguire.
La partita è quella tra Fiorentina e Aquila Montevarchi, a dieci giorni dall’esordio in Serie A della squadra viola, fondata nel 1926 e promossa dalla Serie B nella stagione precedente. Si tratta del classico impegno infrasettimanale dal pronostico scontato ma utile ai progettisti per collaudare il terreno prima dell’inaugurazione ufficiale.
Il pubblico non è certo quello delle grandi occasioni ed è forse proprio questo il fattore determinante per ciò che di lì a poco sarebbe successo. Le poche centinaia di persone presenti sugli spalti si accorgono immediatamente che, in mezzo al campo, tra tutti i calciatori con il braccio alzato durante il consueto saluto al pubblico, c’è un uomo le cui braccia rimangono ferme, immobili.
Quell’uomo si chiama Bruno Neri e in quel momento sta cercando di squarciare, con i mezzi che ha a disposizione, la follia del regime fascista alla guida del Paese. Quel giorno allo Stadio erano presenti i principali gerarchi fiorentini tra cui Luigi Ridolfi da Verrazzano, fascista, squadrista, fondatore del club e maggiore promotore della costruzione dello stadio.
Il gesto di Neri fu tanto coraggioso quanto inaspettato dato che lui stesso, nelle occasioni precedenti, aveva sempre eseguito il saluto romano. Gesto che poi continuerà, forse per paura, a eseguire in seguito.
Da Faenza alla Nazionale
Bruno Neri nasce a Faenza nel 1910 ed è nella squadra della sua città che esordisce, a 16 anni, e si mette in mostra come mediano dotato di buona tecnica e grande agonismo. Nel ’29 la Fiorentina spende per lui diecimila lire, cifra importante per l’epoca e figlia della volontà di Ridolfi di portare la Serie A nel capoluogo toscano. Al primo anno nella massima serie i Viola concludono al quarto posto grazie ai venticinque gol dell’uruguayo, campione olimpico e del mondo, Pedro Petrone e al gioco intelligente del mediano di Faenza.
Rimane a Firenze fino al 1936 guadagnandosi negli anni anche la chiamata di Vittorio Pozzo che lo fa esordire prima nella Nazionale B e poi in quella maggiore. Tre in tutto le partite con la maglia azzurra, tra il ’36 e il ’37. Proprio in quella stagione si trasferisce alla Lucchese, allenata da Ernest Erbstein e appena promossa in Serie A per la prima volta nella sua storia. L’anno successivo il tecnico ungherese lo porta con sé a Torino dove insieme metteranno le radici di quello che sarà poi il Grande Torino. Neri smetterà di giocare prima, nel 1940, a trent’anni a causa di ripetuti problemi fisici.
Bruno Neri: intellettuale e partigiano
Che la figura di Bruno Neri non fosse affine al contesto politico nell’epoca è evidente. A Firenze, durante gli anni migliori della sua carriera professionistica, aveva concluso gli studi superiori all’Istituto Tecnico per iscriversi poi al corso di Lingue all’Università L’Orientale di Napoli. A Torino è assiduo frequentatore dei circoli letterari dove aveva stretto amicizia con giornalisti e scrittori dell’epoca.
Una volta terminata l’attività di calciatore torna a Faenza, ma solamente di passaggio. Grazie al cugino Virgilio, notaio milanese, rileva un’officina meccanica che porta avanti per un po’ di tempo, fino all’inasprirsi dello scenario politico e alla ferma consapevolezza che in un modo o nell’altro fosse importante schierarsi.
Entra a far parte della Resistenza nel novembre del ’43 diventando Vice Comandante del Battaglione Ravenna insieme a Vittorio Bellenghi, ex giocatore di pallacanestro. Il destino dei due sarà purtroppo legato da ciò che di lì a pochi mesi succederà. Berni e Nico, questi i loro nomi di battaglia svolgono l’importante compito di controllare che non ci siano interferenze tedesche nei pressi delle loro zone di intervento.
Un tragico epilogo
Con lo stesso compito, già svolto più e più volte, Berni e Nico partono la mattina del 10 luglio 1944 verso l’Eremo di Gamogna, sull’Apennino tosco-romagnolo, tra i comuni di Marradi e San Benedetto in Alpe.
Su quelle strade si imbatteranno in una dozzina di soldati tedeschi. Berni e Nico perdono la vita e, come ricorda la lapide che gli rende omaggio, “sono morti subendo l’oltraggio brutale della rabbia nazista”.
La domanda che possiamo porci oggi, a più di novant’anni di distanza e conoscendo il susseguirsi dei fatti non può che essere questa: cosa sarebbe successo se quel 10 settembre 1931 le braccia di Bruno Neri non fossero state le sole a star ferme? Sarebbe cambiato qualcosa? Forse no.
Lui, almeno, ci provò.
Alessandro Sanna è un insegnante, tifoso del Cagliari e del Newell’s Old Boys, esperto di calcio sudamericano.
Ha scritto tre libri: “Fantasie calcistiche rioplatensi: Storie di fútbol tra fantasia e realtà
“¡Que viva el fútbol!: Storie, aneddoti e cronache delle più accese rivalità sudamericane”.
“Cagliari è celeste: storia di un amore mistico oltre il calcio”.
Fondatore della pagina, del Podcast e del canale twitch “Que Viva el Fútbol”.
Collabora con Carlo Pizzigoni a “La Fiera del Calcio”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.