Alluvione Valencia: el pueblo ayuda al pueblo
Novembre 3, 2024In questi giorni di follia qui, intorno a Valencia, ho visto e sentito di tutto. Ma la frase che a mio avviso rappresenta al meglio questo duro momento è “el pueblo salva al pueblo”.
È vero che il centro urbano di Valencia si è salvato grazie all’enorme opera realizzata durante il franchismo, dopo l’alluvione del 1957, per dirottare il fiume Turia da dentro la città verso un nuovo letto, molto piu grande, e che passa a sud della capitale.
Ma l’enorme alluvione causato dalla Dana non ha evitato che il “Barranco del Pozo”, che normalmente è vuoto, iniziasse a trasportare fino a 2300 metri cubi di acqua al secondo, per infine strabordare. Ha causato infiniti danni: al momento ci sono oltre 200 morti e 2000 “desaparecidos”.
Martedì 29 ottobre stavo portando a piedi i bimbi a scuola, come ogni mattina. Tra un saluto a un genitore e a un altro, mi erano rimaste impresse queste parole: “sono preoccupato perchè a Picanya il fiume sta crescendo”.
A pronunciarle era stato il padre di un’amica di mio figlio. Fortunatamente è vivo. Ma come aveva previsto ha perso tutto: casa, macchina e negozio. Alle cinque di pomeriggio cominciava a soffiare un forte vento con pioggia, ma niente che non si fosse già visto in questo periodo a Valencia.
Sono andato a prendere a scuola i bimbi in macchina e, dopo un po’ di spesa lungo il tragitto, siamo tornati a casa.
Alle 18:30 l’Università di Valencia, che aveva già cancellato le lezioni di quel giorno, annunciava agli studenti che si passava da Livello 2 a 3 di allerta (il massimo è 4). Poco dopo le 20, hanno cominciato a squillare tutti i cellulari per il messaggio della Protección Civil che ci consigliava di restare a casa.
Peccato che la V31, strada che unisce Valencia a tutti i paesi del Sud, si fosse già trasformata in una trappola mortale. La supestrada era piena di automobilisti che stavano tornando a casa dal lavoro, quando l’alluvione ha portato l’acqua fino alle ruote delle macchine in coda, poi velocemente alle portiere. Conducenti e passeggeri sono dovuti scappare dal finestrino per allontanarsi dai sottopassi.
Questa è una delle tante storie delle prime ore di paura, distruzione e morte.
Il giorno dopo Valencia città si è svegliata con il sole, come se non fosse successo niente, non fosse per le tante foto, per i video di ponti, strade e macchine distrutti, case infangate e parcheggi sotterranei inondati.
Da quel momento gli abitanti del capoluogo valenciano hanno iniziato a muoversi alla ricerca della miglior maniera di poter dare sostegno ai paesi intorno, organizzando vari punti di raccolta di cibo, medicinali, coperte e vestiti per poi recarsi nei paesi limitrofi a piedi o in bici perché è vietato uscire da Valencia in macchina, a causa dello stato delle strade e per non impedire il passaggio a pompieri, ambulanze etc etc..
Stamattina alle 9:00 sono andato anch’io con la bici alla Rambleta. Anche se ieri era stato annunciato dai politici spagnoli che era vietato andare andare in queste zone in allerta, il punto di raccolta era pienissimo di volontari pronti a partire. Una signora riferisce che non si può andare se si ha un taglio o una ferita aperta o se si è in attesa.
È obbligatorio portare mascherina, guanti, gel idroalcolico, pantaloni lunghi, e sarebbero convenienti anche occhiali, perché l’acqua è contaminata e molte persone si stanno ammalando. Si iniziano a formare gruppi di minimo cinque persone e veniamo spediti in vari punti diversi. Visto che spesso non funziona internet, portiamo una cartina e in ogni gruppo c’è un leader che deve sempre riportare alla base informazioni su dove siamo e cosa stiamo facendo.
Io vengo spedito in bici ad Aldaia e Alaquàs, due paesi uno accanto all’altro, ad una decina di km dalla città. Con me vengono Daniel, un ragazzo di Cordoba che studia filosofia ed è il capo del gruppo perché era andato anche il giorno prima e sapeva cosa c’era da fare. Victor, un ragazzo cileno traumatologo, venuto un anno a Valencia per un periodo di lavoro all’estero. E due signori in pensione, i più in forma di tutti con le loro bici da corsa.
Quando arriviamo ad Alaquàs ci dirigiamo al centro sportivo, strabordante di una parte di quello che era stato donato in questi primi giorni. Il nostro compito all’inizio è riempire i nostri zaini di bottiglie di acqua, mascherine e guanti, e andare per tutto il paese a chiedere chi ne abbia bisogno. Le strade sono piene di fango, mobili e tutto quello che fino a qualche giorno prima adornava le case.
Le bottiglie d’acqua finiscono rapidamente e a un certo punto ci imbattiamo in un garage inondato. La gente chiede aiuto per svuotarlo e ci si mette all’inizio della fila umana, riempiamo secchi d’acqua e li inviamo su, con la paura che da un momento all’altro possa apparire uno dei tanti morti intrappolati e affogati in questa onda d’acqua che ha devastato la città. Dopo un’ora a caricare cubi d’acqua arrivano i pompieri con le pompe e allora ritorniamo al centro sportivo, fermandoci in ogni casa a chiedere se abbiano bisogno di assistenza.
La giornata va avanti e continuiamo senza mai fermarci, all’ora di pranzo si porta cibo e pane caldo ai bisognosi, poi svuotiamo la strada per far passare camion della polizia e infine con le scope cerchiamo di togliere il fango dalle porte delle case. Verso le tre ritorna la pioggia e pochi minuti dopo arriva la polizia informando che stanno per arrivare grosse perturbazioni, il fiume si sta riempiendo e c’è allerta arancione. Per noi, almeno per oggi, si chiude il sipario, si sale sulle bici e si torna a casa.
A Paiporta, uno dei paesi con più danni della zona, stamattina si sono presentati il Re Felipe VI, sua moglie Leticia, Pedro Sánchez (presidente del governo) e Mazón (presidente della Generalitat Valenciana). Gli abitanti della città, inferociti, hanno iniziato a tirar loro fango e a gridare “asesinos”.
Nel mentre, il presidente del Governo è salito rapidamente in auto ed è andato via. Re Felipe e Leticia sono rimasti e, dopo gli insulti ricevuti, hanno potuto ascoltare le proteste dei vari cittadini sui pochi aiuti inviati dallo Stato e sul ritardo nell’avvisare dell’allerta.
Come ho detto all’inizio, “el poble ajuda el poble”. In questi giorni si è vista un’intera città muoversi per aiutare questa zona a sud di Valencia. La mia è solo una delle tante storie che i valenciani e non hanno vissuto. Ora sono a casa e scrivo mentre guardo fuori dalla finestra e ascolto il telegiornale.
Dicono che ci aspetta una notte di pioggia. Penso a quanto sono fortunato: a pochi km di distanza molta gente infreddolita cercherà di difendere la propria casa, o ciò che ne resta, dalla pioggia e dal fango.
E mentre il calcio e lo sport si fermano e parte la solita doverosa gara di solidarietà per raccogliere fondi, mi torna in mente l’immagine che potete vedere in copertina: un’auto trasportata dal fango all’ingresso di un campo da calcio, in terra, simile a quello che avevo raccontato nel pezzo sullo Sporting Benimaclet. Messa lì di traverso quasi a sbarrare il passaggio nel campetto, come a dire “è tempo di fermarsi, ritrovarsi per poi ripartire più forti”.
Ho sentito proprio i ragazzi dello Sporting e, come sempre, stanno dando l’anima per il quartiere. Ennesima prova, come ce ne fosse bisogno, di quanto la partecipazione sociale collettiva possa dare una grande mano in un momento terribile come questo.
Per qualcuno è stata una catastrofe annunciata. Ma non è questa la sede, e forse neppure il momento, di puntare il dito. Perché prima di ripartire ci aspetta ancora molto lavoro, e molta sofferenza abbiamo patito e patiremo. In molti hanno perso tutto, troppi hanno perso la vita.
Valencia si piega, ma non verrà spezzata.
Testo a cura di Philip Supertramp – Instagram @ilsignoredellaliga.
L’immagine di copertina e le foto inserite nell’articolo sono a cura dell’autore.