Quando c’era solo la maglia
Novembre 16, 2024Le nuove generazioni nemmeno immaginano di cosa si parli.
Eppure, c’era un tempo in cui ci divertivamo a disegnare anche le maglie da calcio. E già sui colori la scelta diventava impegnativa, se non difficile, perché bisognava azzeccare la tonalità giusta e, soprattutto, avere mano ferma.
Le casacche monocromatiche, come per la Fiorentina ed il Torino, non creavano problemi, al massimo per Avellino, Lazio, Napoli e Perugia bisognava lasciare uno spazio bianco – o da colorare in giallo per la Roma – all’altezza del colletto.
Per il Cesena, poi, era semplicissimo, si lasciava tutto in bianco e solo i bordi diventavano neri. La stessa maglia del Parma non richiedeva particolari sforzi, bastava sovrapporre allo sfondo bianco una croce nera, tutto lì.
Il problema nasceva per le maglie a strisce, non tutte erano uguali, c’erano quelle più larghe, per Atalanta, Bologna, Cremonese, Lanerossi Vicenza (in passato con strisce filiformi) e, soprattutto, Inter, senza dimenticare Pisa, Taranto, Ternana e la Nocerina nella sua episodica apparizione in B del ’78-’79.
Tutto diventava più complicato quando le strisce si assottigliavano fino a diventare righe, come per Ascoli, Foggia, Juve (a partire dagli anni ’70) e Milan, per non parlare della mitica Spal, allora si diventava dei piccoli Giotto e ci si sforzava quanto più possibile di mantenere le strette distanze e, ancora di più, di non zigzagare con la mano, per rendere la linea esattamente verticale.
Poi entrava in gioco la fantasia del designer. Partendo dal collo, abbellito dai lacci per la chiusura come nel caso del Cagliari (o del Palermo per un paio d’anni), o unito tramite una breve patta verticale per il Varese, mentre per altre squadre era con risvolto e più aperto – sempre, per la Juve, mentre Foggia, Inter, Pescara e Verona, lo alternavano al girocollo, secondo le annate – al più con un solo bottoncino superiore nel caso in cui servisse chiuderlo.
Forse anche per questo non mi piaceva, perché da bambino immaginavo che quei poveri calciatori fossero costretti tutti a combattere col mal di gola del freddo invernale. Una vera rarità (più rugbistica che calcistica) le strisce larghe orizzontali, come per la Pro Patria.
L’estro creativo, però, si esaltava con le maglie delle genovesi, a due quarti rossoblù per il Genoa (e, volendo, pure per il Cagliari), con una banda orizzontale biancorossonera per la Samp, senza dimenticare la maglia a scacchi bianchi e rossi talvolta sfoggiata dal Rimini e quella un po’ ‘stile-Ajax’ del Catanzaro nel biennio ‘76-‘78, rossa al centro con fasce laterali e collo gialli – al pari di quella del Lecce nel ’76-’77, prima di alternarla con quella a strisce giallorosse o, ancora, a tinta unita, con la prevalenza dell’uno o dell’altro colore sociale – o dello stesso Avellino nell’84-’85, mentre il Brescia (non sempre) e il Brindisi mettevano in mostra una grossa ‘v’ (bianca o azzurra) a campeggiare sull’intero torace.
Poi c’erano i ‘compromessi’, come nel caso del Monza e pure dello stesso Bari (almeno per la stagione ‘77-‘78), con una maglia a tinta unita guarnita da una striscia laterale sul fianco sinistro, anche se poi lo stesso club pugliese, nei primi anni ’80, non disdegnerà (insieme a Cagliari, Palermo e Sambenedettese) una maglia adornata da una sezione orizzontale superiore diversamente colorata, sul modello della casacca dell’Inghilterra nel mundial spagnolo dell’82.
Senza omettere di ricordare la ‘conversione’ dell’Udinese, scesa in campo vestita di sottili righe bianconere fino al ’79-’80, quando fa sua la versione ajacide di cui sopra, con un’ampia banda nera fiancheggiata sui due lati dal bianco.
Maglia Napoli, che passione! Il precedente della stagione 1965-66
Poi c’era il ‘caso’ del mio Napoli, fedele alla maglia azzurra a collo leggermente a ‘v’ e chiuso, con una sola riga bianca ad ornarlo. Fino a quando, per esigenze di sponsor tecnico (ahi, la Puma…), dal ‘78 all’80 decide di ‘verniciare’ le maniche con una banda bianca, simile ad una lingua di calce, salvo poi ritornare alla tradizione nell’80-‘81, con una piccola concessione innovativa per il colletto, stavolta con tre righine al posto di una, righine che scompariranno per il torneo ’82-’83 e, per magia (o scaramanzia, vista la salvezza sul filo di lana per il campionato precedente), riappariranno l’anno dopo.
Per alcune casacche i dettagli, poi, risultavano decisivi, se non essenziali, non a caso erano collocati sul lato sinistro, quello del cuore: la testa dei quattro mori per la divisa da gioco bianca del Cagliari, il giglio per quella singolarmente viola della Fiorentina, il toro rampante per quella affascinante del Torino, la ‘v’ rimpicciolita (poi sostituita dal leone o leonessa rampante dell’emblema cittadino) per le azzurre ‘rondinelle’ bresciane, mentre il Novara esibiva sul petto uno scudo rosso con croce bianca.
Quando a rubare l’occhio non erano lo scudetto o la coccarda (per la vittoria in Coppa Italia), entrambi tricolori, spiccava una stella, non dorata per chi di vittorie in campionato ne aveva collezionate almeno dieci, ma bianca, come per (Junior) Casale e Frattese, o azzurra come per la Paganese. Per non dimenticare l’iconica ‘R’ – bianca, rossa o pure azzurra – dell’inconfondibile Lanerossi.
Discorso a parte merita lo stemma dell’Alessandria, vero esempio di originalità raffigurativa, perché riproponente sul lato sinistro del petto l’intreccio, a destra su sfondo grigio, delle tre iniziali di ‘unione sportiva Alessandria’ e, a sinistra, la presenza di una croce rossa su sfondo bianco.
Ma, al netto delle differenze più o meno evidenti, tutte le casacche erano accomunate da un unico denominatore, l’essenzialità. In cotone o lanetta, erano destinate a richiamare l’attenzione del tifoso o dello spettatore sui colori caratteristici dei vari club, e questa era lo loro autentica ‘vocazione’.
A partire specialmente dagli anni ’80 inizia una metamorfosi che, per tanti, segna un’involuzione e non un progresso: passi la realizzazione con tessuti più raffinati, elasticizzati o traspiranti, ma gli sponsor tecnici o commerciali rubano sempre più spazio alla funzione simbolica della maglia ed alla poesia di un calcio sicuramente meno ricco, ma molto, molto più semplice, dove i calciatori non erano ridotti a cartelloni pubblicitari deambulanti sul campo.
Testo di Alfonso Esposito: Avvocato, docente di Diritto Penale alla scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli, ha appena pubblicato con la Urbone “LEGGENDAJAX: storia e storie di una svolta epocale”.
Di attaccanti che hanno fatto la storia azzurra ha scritto in “Napoli: segnare il tempo”.
A questo link trovate il suo libro “Il Mito che Insegna”, sul Napoli di Vinicio, edito sempre da Urbone Publishing, per la quale ha pubblicato anche “Alla Riscoperta dell’Est”.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia: la Sampdoria con la sua riconoscibilissima maglia nella stagione 1972-73, quando ottenne una salvezza all’ultima giornata del campionato di Serie A.