Will it play in Italy?
Novembre 29, 2024Peoria è una cittadina di circa centomila abitanti dello stato dell’Illinois. “Will it play in Peoria?” ovvero “Funzionerà a Peoria”, è una figura retorica angloamericana utilizzata per indicare la città come luogo in cui esaminare se un’idea, un prodotto o anche un politico può essere vincente. Will it play in Peoria? è la domanda che gli operatori industriali o elettorali si pongono prima di lanciarsi sul mercato.
Perché proprio Peoria, tra le migliaia di città statunitensi, lo spiega bene Dario Fabbri in Geopolitica Umana. “Perché possiede storia e popolazione profondamente tedesche. La cittadinanza si definisce di origine tedesca per il 32%, germanica per il 51% contro il 15% di origini irlandese o il 10,4% di discendenza inglese. Da allora avere successo da queste parti è divenuto essenziale, negli anni Bob Dylan, i Metallica e molti altri cantanti hanno fatto tappa in questo sperduto angolo dell’Illinois”.
C’era una volta il mestiere di giornalista, c’era una volta il Napoli vincente
Ma cosa c’entrano i tedeschi con gli Stati Uniti? È una semplice conseguenza della preminenza del ceppo germanico – che ha soppiantato quello britannico – negli USA. Una “sostituzione” dovuta all’immigrazione avvenuta tra il 1820 e il 1920 di circa 6 milioni di teutonici nel Nuovo Mondo, stabilitosi in maggioranza nel Midwest, che poi si è concretizzata tra le due guerre mondiali.
Ben accolti per la cultura del lavoro, il loro impatto ha fatto sì che diventassero l’anima dell’intera nazione: oggi 1/3 degli americani dichiara di possedere un antenato germanico. Considerando quanto avvenuto qualche settimana fa, chi punta alla Casa Bianca deve avere la meglio in Iowa (abitato da 3 milioni di persone, ma tedeschi e scandinavi per oltre il 60%), Ohio e Missouri, stati del Medio Occidente. Lo stesso Trump ha origini tedesche (il cognome era Drumpf).
Tutto questo ambaradan, tutta questa premessa – che nella sua estraneità al calcio potrebbe causare perplessità – serve a evidenziare come determinate scelte sono la conseguenza di un loro funzionamento, come un certo tipo di comunicazione realizzata nel mondo del pallone nostrano. Un’informazione troppo spesso unidirezionale, che lega il suo giudizio all’aspetto risultatista anziché valutare nel suo insieme.
È così che nel giro di 13 giornate di campionato s’è letto e ascoltato di un’Inter allo stesso tempo indicata come squadra da battere, ma forse no perché appagata del trionfo dello scorso anno; la Juventus se la gioca per lo scudetto, ma forse no, non è pronta; il Napoli è già campione grazie a Conte, mentre Fonseca ha in mano lo spogliatoio del Milan a settimane alterne.
Ammettiamo la diversità delle opinioni, il pluralismo delle idee, eppure si leggono, si scrivono, si ascoltano le une o le altre a seconda degli andamenti. È come se esistessero due schieramenti, quello dei pro e quello dei contro, la cui voce emerge sulla base del risultato. Si vince, spazio ai pro; si perde, avanti i contro.
La ripetitività degli argomenti poi, è direttamente proporzionale al numero di trasmissioni radio-televisive. I soliti volti noti (e semi-noti) di giornalisti, opinionisti, ex calciatori e amici sconosciuti di editori di siti che fanno turn-over tra una radio e un programma tv – soprattutto locali – che si esibiscono in dichiarazioni e commenti sentiti e risentiti. E quando non ci sono, gli argomenti si inventano. “È più forte il Napoli di Spalletti o quello di Conte?”. Domanda definibile retorica.
La necessità di dover pur scrivere, l’urgenza di arrivare prima di tutti in un mondo dell’informazione h24, il dover avere per forza un’opinione su tutto fa sì che servano risposte semplici e immediate, anche superficiali su temi che necessiterebbero di spiegazioni profonde. Non c’è più spazio, interesse e accessibilità per articoli fatti di ricerca, analisi, approfondimenti: fa più “rumore” un post di quattro righe di un “giornalista” o un suo intervento tra radio e tv trasformato in articolo.
Se si volesse allargare lo sguardo verso altri contesti, come quello politico – calcio e politica sono lo specchio del nostro paese – ci si renderà conto come anche in questo caso la tipologia comunicativa è utilizzata a proprio piacimento. Si tende a raccontare una visione delle cose evidenziando solo quella parte degli aspetti che si preferisce (o che conviene).
La paura irrazionale della costruzione dal basso è lo specchio del Paese
Di ogni argomento esistono due – o più – verità troppe volte soggettive e quasi mai oggettive. Di conseguenza, viene creata una narrazione, non per forza corrispondente alla realtà. L’unica differenza è che se in politica l’indignazione, la rassegnazione e la rabbia si traducono in insulti social e astensione alle elezioni, quanto al calcio è impossibile mettere fine alla passione.
Intanto lo scorrere degli avvenimenti ha indotto il cambiamento delle percezioni previsionali dei sentenziatori. Dopo la sconfitta in casa contro l’Atalanta, le prestazioni della Dea e il ritorno alla solidità dell’Inter sono bastati per passare dalla vittoria dello scudetto alla possibilità di vincerlo, per arrivare alle difficoltà di competere nel lungo periodo se la squadra di Conte non migliora nella fase di attacco e finalizzazione. La bellezza di un mondo in cui è possibile dire tutto e il contrario di tutto.
Luigi Ottobre è laureato in Turismo per i Beni Culturali. Giornalista pubblicista dal 2019, ha scritto per il portale ‘Il Mio Napoli’ e scrive attualmente per GiornaleNews di Maddaloni, per il quale segue il Napoli anche dal Maradona. Appassionato di tennis, pallavolo e Moto GP, fa parte della famiglia di F&L dal 2024.
Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.