Il lungo addio di Jesús Navas al Siviglia

Il lungo addio di Jesús Navas al Siviglia

Dicembre 21, 2024 0 Di Juri Gobbini

Per un calciatore, non c’è peggior cosa che affrontare il momento in cui si dovranno appendere le scarpette al chiodo.

Jesús Navas ha vissuto il proprio ritiro al rallentatore: lo scorso maggio annunciò prima l’addio al Sevilla e poi – dopo essersi chiarito col club, evitando così un triste malinteso – decise che sarebbe rimasto in squadra fino a dicembre 2024.

In questi sette mesi, vissuti quasi in slow-motion, il giocatore andaluso ha fatto in tempo anche a vincere, a quasi 39 anni, un altro Europeo con la Selección spagnola.

Un successo che, semmai ce ne fosse stato bisogno, conferma ancor di più la sua grandezza come leggenda del calcio spagnolo.

Sabato 14 dicembre, Navas ha salutato invece il Ramón Sánchez Pizjuán giocando per l’ultima volta davanti al suo pubblico, con il Gol Norte che gli ha dedicato un immenso striscione con scritto “El orgullo de Nervión”.

Domenica prossima, in casa del Real Madrid, sulla carriera di Navas calerà ufficialmente il sipario.

Il Sevilla di inizio millennio

Fra il 1997 e il 2001 il Sevilla conobbe uno dei periodi più bassi della propria storia, con due retrocessioni e ben tre stagioni passate in Segunda División. Troppi allenatori sostituiti con una rapidità eclatante e molta incertezza in seno al club.

Poi, improvvisamente, il vento cambiò. Il nuovo Sevilla coincise con l’arrivo sulla panchina di Joaquín Caparrós e la presenza nel settore giovanile di alcuni talenti che iniziarono a bussare alle porte della prima squadra.

Come spesso accaduto con altri campioni, anche Navas venne scoperto per caso. Il Sevilla stava infatti seguendo da vicino il portiere José Manuel Muñoz, detto Wilfred, suo compagno di squadra.

Sia Navas che Wilfried sono infatti originari di Los Palacios y Villafranca, una trentina di km a sud di Sevilla. Città che si presta alla produzione di talenti, visto che da qui provengono anche Gavi e Fabián Ruiz.

Pablo Blanco – ex giocatore e in quel momento emissario del Sevilla – rimase però impressionato da quel ragazzino frenetico e instancabile che sembrava scartare qualsiasi avversario gli si presentasse contro. Sia Navas che Wilfred finirono così nelle giovanili del Sevilla: il portiere non arrivò mai in prima squadra anche se ebbe una carriera di tutto rispetto, maggiormente con squadre di Segunda B.

Il primo dei giovani sevillani ad apparire sul grande palcoscenico fu la “Perla di Utrera” José Antonio Reyes, attaccante classe 1983. Dietro di lui, nell’immediata generazione, Antonio Puerta (1984), Jesús Navas (1985) e Sergio Ramos (1986).

Dei quattro, Navas era il più timido e delicato. Gracile fisicamente, tanto che i nutrizionisti del club gli concedevano di mangiare dolciumi, purché fosse riuscito ad irrobustirsi.

Fragile emotivamente, con quel carattere introverso, e gli occhi di ghiaccio che nascondevano tutte le incertezze di un ragazzino che non aveva ancora assimilato il grande salto dalle giovanili alla prima squadra.

I problemi si manifestarono sotto forma di frequenti attacchi d’ansia che occorrevano quando Navas doveva stare a lungo lontano dall’ambiente familiare. Per questo si perse il Mondiale Under-20 del 2005, mentre il suo debutto in nazionale venne rimandato al 2009, già con Vicente del Bosque al timone.

Luis Aragonés e la faida con Raúl in nazionale

Perché malgrado Luis Aragonés stravedesse per lui, il tecnico della Selección nel periodo 2004-08 preferì sempre rispettare il volere del giocatore e non chiamarlo fintantoché non si fosse sentito pronto.

Intervistato di recente nel programma Radioestadio Noche dell’emittente Onda Cero, oltre all’appoggio di club e famiglia, Navas ha sottolineato quanto l’amore per il fútbol fosse stato una delle chiavi principali che gli permisero di vincere gli attacchi d’ansia e la depressione: “Io soffrivo per 23 ore, però l’ora d’allenamento mi faceva dimenticare tutto”.

Per sua stessa ammissione, essere riuscito a superare quei problemi è stata una sorta di “benedizione”, perché gli ha permesso di maturare e lo ha reso più forte di fronte ai problemi della vita.

Per Antonio, con Antonio

Ad accelerare il recupero, anche un evento che avrebbe potuto invece cancellare tutti i progressi fatti da Navas durante quei difficili mesi. Il 28 agosto 2007 morì infatti Antonio Puerta, che tre giorni prima si era sentito male durante un Sevilla-Getafe. Una morte che commosse tutto il mondo del calcio, e che segnò per sempre tutti i compagni ed amici con cui Puerta era cresciuto.

Da quel giorno Navas decise di giocare anche per lo sfortunato amico. Assieme avevano confezionato il gol più importante della storia del club, quello segnato da Puerta contro lo Schalke 04 nella semifinale di Coppa UEFA del 2006.

Un’azione partita da Navas, il cui centro dalla destra aveva pescato il compagno sul lato opposto dell’attacco. Una rete che diede il via ad un lustro magico dove il Sevilla conquistò sei trofei: due Coppe UEFA, due Coppe del Re, una Supercoppa di Spagna e una Supercoppa Europea, oltre che due terzi, un quarto e due quinti posti nella Liga.

Navas non si è mai dimenticato di Puerta. Nel 2017, quando rientrò a Sevilla dopo l’esperienza al Manchester City, Navas chiese di indossare la maglia n.16, quella di Puerta, anziché la n.7 o la n.15, i numeri che era solito utilizzare.

Sabato scorso, al termine della sua ultima gara giocata al Ramón Sánchez Pizjuán, prima di uscire, Navas si è presentato nel punto del campo dove Puerta era caduto a terra. Si è inginocchiato e ha baciato l’erba, guardando poi in alto. Al cielo. Di nuovo in piedi, si è tolto la maglia e l’ha mostrata al pubblico, nascondendo il proprio nome e lasciando in vista solo il n.16. In lacrime, ha indicato di nuovo il cielo.

Puerta, così come Reyes – scomparso in un incidente stradale nel 2019 – è sempre presente nei pensieri di Navas. Il ricordo dell’amico scomparso lo ha accompagnato durante tutta la carriera, dandogli la forza spirituale e fisica necessaria ad arrivare e rimanere così in alto.

Jesús Navas: l’orgoglio del Nervión

Navas è senza ombra di dubbio il miglior giocatore della storia del Sevilla. Polverizzato già da diverso tempo il record di presenze in maglia biancorossa – chiuderà con 705 gare ufficiali – il suo palmares a livello di club è impressionante: due Europa League, due Coppe UEFA, due Coppe del Re, una Supercoppa Europea e una Supercoppa di Spagna con il Sevilla; una Premier League e due League Cup con il Manchester City.

Nessun giocatore passato per Nervión, il quartiere dove sorge il Sánchez Pizjuán, si avvicina minimamente a Navas. Anzi, il precedente detentore del record di presenze era stato con 415 gare Pablo Blanco – si, proprio colui che lo aveva scovato – difensore del Sevilla dal 1971 al 1984.

Alla bacheca vanno poi aggiunti i titoli ottenuti da Navas con la Spagna: un Mondiale, due Europei e una Nations League. La cosa più sorprendente, in questo, è la distanza di quattordici anni fra il primo e l’ultimo trofeo.

Perché Navas, malgrado l’età e i continui acciacchi fisici, non ha mollato. Anzi, col tempo ha dimostrato una flessibilità tattica propria dei grandi campioni.

Navas in precedenza si era sempre dimostrato diligente al momento di scalare o coprire un compagno, ma passare da ala a terzino richiede ben più di una semplice accortezza tattica. Soprattutto se la mutazione avviene a 30 anni già suonati.

Il primo ad accorgersi che Navas fosse adatto al nuovo ruolo fu Pep Guardiola ai tempi del City, quando per coprire le contemporanee assenze di Pablo Zabaleta e Bacary Sagna, schierò il sevillano sul lato destro della difesa. Quello che sembrava solo un esperimento, però, in realtà spianò la strada per il passaggio definitivo in difesa una volta tornato a Sevilla.

Navas si è adattato bene al cambio di ruolo: in precedenza il suo gioco era fatto di scatti, dribbling e cross, anche se come esterno offensivo aveva sempre segnato poco. Tuttavia, l’affidabilità, la tenacia, la capacità di leggere le giocate, la velocità che gli consentiva di chiudere le diagonali o recuperare la posizione, lo resero adatto anche alla nuova posizione, aiutandolo persino a ritrovare un posto in nazionale.

Prima con alcune sporadiche chiamate da parte di Luis Enrique, e poi come presenza fissa con Luis de la Fuente come supplente di Dani Carvajal.

Se nel Mondiale 2010 Navas verrà sempre ricordato per aver avviato, con uno scatto sulla destra, l’azione decisiva rifinita in rete da Andrés Iniesta, l’highlight del suo Europeo 2024 fu senza dubbio la gara contro la Francia, dove venne schierato titolare per la squalifica di Carvajal.

Alla vigilia, in molti avevano previsto che Kylian Mbappé se lo sarebbe mangiato in un sol boccone. Invece Navas riuscì nell’impresa di fermare lo spauracchio transalpino, contribuendo al successo spagnolo ed uscendo in lacrime. Per il dolore, ma anche per l’emozione.

Jesús Navas: esempio di Sevillanía

Dividere uno spogliatoio con Navas è avere al proprio fianco un leader silenzioso, di quelli che non hanno bisogno di parole per dare l’esempio. Anche a 39 anni è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via dalla Ciudad Deportiva del Sevilla, e la serietà e la generosità che mostra sia in campo che in allenamento riflettono il suo carattere d’acciaio, forgiato nel tempo.

Carattere che gli ha permesso di tirar avanti per anni nonostante terribili dolori all’anca che negli ultimi mesi si sono fatti sempre più insopportabili. Da qui la decisione, sofferta, di appendere le scarpette al chiodo.

Il futuro? Ai microfoni Radioestadio Noche Navas ha ammesso la propria inquietudine, sorridendo nel raccontare di come si annoi a camminare. “Vado di corsa anche a comprare il pane…”

Non è ancora chiaro che ruolo possa svolgere all’interno del club – sicuramente rimarrà legato al Sevilla – ma Navas ha anche detto che non vorrà stare inattivo a livello fisico. Per questo si dedicherà alla bicicletta, sport dove le anche sono meno sollecitate rispetto al calcio.

Navas è talmente rispettato che parlando di lui in città la rivalità fra Betis e Sevilla viene messa in secondo piano. In questo, la sua figura mette tutti d’accordo.

Nel giugno 2023 venne invitato da Joaquín per la partita d’addio dell’eterno rivale, e per Navas piovvero solo applausi da parte del Benito Villamarín.

Malgrado avessero caratteri completamente differenti, per anni Navas e Joaquín sono stati i due volti di una città che soffre e vive i fútbol con estremo ardore e passione. Da qualche mese ci stiamo abituando a un Betis senza Joaquín, e a breve dovremmo iniziare a fare i conti pure con un Sevilla senza Navas.

Nel frattempo, il Sevilla ha iniziato nuovamente a lanciare giovani in prima squadra, la maggior parte dei quali non erano ancora nati quando Navas debuttava nella Liga.

Come Manuel Bueno, centrocampista classe 2004, il cui gol ha deciso l’ultima gara casalinga contro il Celta Vigo. O Jose Ángel Carmona e il campione olimpico Juanlu Sánchez. Ragazzi che sono cresciuti giocando nello stadio Jesús Navas, il campo principale della Ciudad Deportiva José Ramón Cisneros Palacios, e che adesso si sono trovati a dividere lo spogliatoio con la principale leggenda del club.

Nell’eredità che lascia Navas, la più pesante sarà la camiseta n.16. “Questo numero è sacro, questo club è sacro, questo scudo è sacro e questa tifoseria è sacra”, ha avvertito Navas, che chiede a chi prende questa maglia di essere pronto a dare tutto come ha fatto lui. Dal primo all’ultimo giorno.

 

Testo di Juri Gobbini. Autore della pagina Facebook Storia del Calcio Spagnolo, del libro “Dalla Furia al Tiki-Taka” (Urbone Publishing) e de “La Quinta del Buitre”.

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons.