La Terezin Liga: il calcio come strumento di resistenza e propaganda nell’inferno nazista

La Terezin Liga: il calcio come strumento di resistenza e propaganda nell’inferno nazista

Gennaio 26, 2025 0 Di Davide Tuniz

“Abbiamo portato un po’ di gioia in un posto dove era impossibile essere felici” Petr Urban

Theresienstadt, conosciuto in ceco come Terezin, fu uno dei tanti luoghi simbolo dell’orrore nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo ghetto, che fungeva anche da campo di concentramento, si trovava nella Cecoslovacchia occupata e venne usato per concentrare, sfruttare e, infine, deportare la popolazione ebraica verso i campi di sterminio.

Inaugurato nel 1941, Theresienstadt non era un campo di sterminio come Auschwitz, ma un luogo progettato per ingannare il mondo. Situato nella Cecoslovacchia occupata, era destinato a detenere una “élite” di ebrei: intellettuali, artisti, musicisti di spicco. Furono rinchiuse qui le sorelle di Kafka e le figlie di Freud. Questo gli conferì un’atmosfera apparentemente diversa, con un’attività culturale intensa che comprendeva concerti, opere teatrali e persino partite di calcio.

La realtà, tuttavia, era ben diversa da quella che i nazisti volevano mostrare al mondo. Dei 144.000 prigionieri passati per Theresienstadt, oltre 88.000 furono deportati nei campi di sterminio e 33.000 morirono all’interno del ghetto a causa di malnutrizione, malattie e abusi. La fame, le malattie, il sovraffollamento e la paura costante delle deportazioni rendevano la sopravvivenza quotidiana un’impresa.

Eppure, in questo contesto di estrema sofferenza, si sviluppò un campionato di calcio, che offrì ai prigionieri un raro momento di umanità, dignità e speranza. Paradossalmente, però, questo stesso campionato fu anche uno strumento di propaganda nazista, progettato per ingannare il mondo esterno e mascherare la realtà brutale del genocidio in corso.

Nascita della Terezin Liga

La Terezin Liga nacque ufficialmente nel 1941 su iniziativa di uno dei prigionieri, Fredy Hirsch, e rappresentò, per chi viveva a Terezin, molto più di un semplice passatempo. Mentre i nazisti utilizzavano lo sport come strumento per alimentare la loro propaganda, i prigionieri lo vedevano come un mezzo per preservare la propria umanità.

Alfred “Fredy” Hirsch, colui che promosse la Terezin Liga. Morì l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz Birkenau (immagine tratta da Wikipedia)

Leonardo Albajari, giornalista, docente ed esperto del rapporto tra sport e storia dell’Olocausto, spiega che il calcio a Terezin non era solo un momento di svago, ma anche un elemento essenziale per la sopravvivenza. I giocatori ricevevano razioni di cibo migliori, una differenza che poteva letteralmente salvarli dalla morte per fame. “Normalmente i prigionieri mangiavano ogni due giorni una zuppa che era essenzialmente acqua in cui navigava qualche patata. Anche solo una fetta di salame, un pezzo di formaggio o un cucchiaio di marmellata rappresentavano un tesoro per chi viveva con una dieta insufficiente e debilitante”, sottolinea Albajari.

Ma oltre al beneficio materiale, il calcio offriva anche un’opportunità di resistenza psicologica. Per pochi minuti, i giocatori e gli spettatori potevano dimenticare la realtà del campo, ritrovando un senso di comunità e normalità.

Nonostante le condizioni estreme, la Terezin Liga era sorprendentemente ben organizzata: c’era un comitato organizzatore ed ex arbitri professionisti. Le squadre partecipanti, circa una dozzina, avevano nomi che riflettevano le professioni dei loro membri, come i “Cuochi” (Köche), gli “Elettricisti”, i “Giardinieri”, i “Macellai” e gli “Addetti al guardaroba” (“Kleider Kammer”). Altre squadre portavano i nomi di storici club sportivi ebraici, come il Maccabi, l’Hakoah e lo Sparta. Occasionalmente, si svolgevano sfide “internazionali” tra squadre formate in base alle origini dei giocatori, come ebrei austriaci contro ebrei cechi.

Le partite di calcio e le terribili condizioni di vita nel campo

Le partite si svolgevano in un campo delimitato all’interno del ghetto, sette contro sette, con regole ufficiali e arbitri. I giocatori indossavano uniformi improvvisate, spesso ricavate da vecchi vestiti, e quando possibile utilizzavano guanti e scarpe adatte. La lega seguiva un calendario regolare e le partite venivano giocate una volta alla settimana. Le terribili condizioni di fame e malattia e le continue partenze di treni per i campi di sterminio portavano a frequenti cambiamenti nelle formazioni delle squadre. Per questo motivo le squadre passarono dal 1944 ad essere composte da soli 6 giocatori, prima di sparire del tutto a causa delle deportazioni di massa verso Auschwitz.

Gli spettatori, composti dai prigionieri del campo, si radunavano intorno al campo o si affacciavano dai balconi degli edifici vicini per assistere agli incontri. C’era chi chiedeva autografi ai giocatori più famosi.

Le cronache delle partite venivano documentate da giornali improvvisati che circolavano tra i prigionieri. Il più noto era Kamarad, che veniva prodotto nel Blocco Q609, quello dei bambini, e che riportava con grande precisione risultati, classifiche e statistiche, oltre che cronache dettagliate delle partite.

Un resoconto datato 23 ottobre 1943 descrive una partita tra i “Giardinieri” e i “Macellai”: “È stata una battaglia accesa, con azioni incisive e spettacolare gioco da entrambe le parti. Entrambi i portieri hanno dato il massimo”. La partita terminò 4-3 per i Giardinieri. In un altro articolo, l’autore Oscar Pick Slunce, che morirà ad Auschwitz nel 1944, racconta che nella vittoria 6-1 dei Cuochi sugli Elettricisti: “l’arbitro Kunde è stato pessimo danneggiando entrambe le squadre”.

I Cuochi si aggiudicarono il campionato del 1943, vincendo 10 delle 11 partite e segnando 82 gol. I Jugendfürsorge (responsabili del benessere giovanile) furono l’unica squadra capace di strappare dei punti ai campioni, pareggiando 3-3. La superiorità dei Cuochi era molto probabilmente legata alle razioni di cibo migliori che potevano ottenere grazie alla loro professione nel campo.

Atleti e reduci di Terezin

Molti giocatori della Terezin Liga erano atleti professionisti o dilettanti prima della deportazione. Tra questi, spicca la figura di Petr Urban (nato Eisenberg), un ex giocatore del Maccabi Brno, che sopravvisse a Terezin, Auschwitz e Birkenau.

Dopo la guerra emigrò in Israele, dove visse fino a 96 anni. “Ero un giocatore molto bravo. Ero un difensore. A Terezin facevo parte della squadra Jugendfürsorge ed eravamo tra i migliori. Sono stato un atleta per tutta la vita e prima della guerra giocavo nel Maccabi Brno. Nel ghetto, il calcio era una delle migliori forme di sport e sia i detenuti più giovani che quelli più anziani si divertivano molto” – ha raccontato anni fa a Marca.

Gocce di memoria: la Shoah nel calcio

Un altro sopravvissuto fu Peter Erben, che giocava anch’egli come difensore nella Jugendfürsorge. Deportato successivamente a Mauthausen, Erben ricordava il calcio come “un momento di sollievo in mezzo al caos, un’occasione per sentirsi ancora vivo e parte di una comunità”.

La Liga, però, non era soltanto un’attività spontanea dei prigionieri, ma faceva parte di un piano propagandistico più ampio orchestrato dai nazisti. Theresienstadt veniva presentato come un “campo modello” per convincere l’opinione pubblica internazionale che gli ebrei deportati erano trattati umanamente.

La Terezin Liga fu anche uno strumento di propaganda nazista

Verso la fine del 1943, 456 ebrei danesi furono mandati a Terezin, tra cui bambini ebrei che le organizzazioni danesi avevano tentato di nascondere in case-famiglia. Il re Cristiano X di Danimarca insistette affinché la Croce Rossa danese visitasse i deportati per vedere di persona il trattamento a cui venivano sottoposti a Terezin.

I preparativi per la visita durarono molti mesi, in quella che i nazisti chiamarono ‘“azione di abbellimento”. Il sovraffollamento nel ghetto fu in qualche modo alleviato e 17.517 persone furono deportate in un “campo per famiglie” ad Auschwitz-Birkenau.

Furono creati giardini, finti negozi, bar e ristoranti, le case furono dipinte e gli edifici ristrutturati.

Il 23 giugno 1944, due delegati della Croce Rossa Internazionale e uno della Croce Rossa Danese visitarono il ghetto, accolti e guidati da Adolf Eichmann, l’ideologo dello sterminio degli ebrei, in persona.

Nel cortile si giocò una partita di calcio sotto gli occhi festanti della folla, mentre in una sala della comunità, costruita appositamente per l’occasione, venne eseguita per i visitatori l’opera per bambini “Brundibar”.

Alla fine, un coro ed un’orchestra formata da prigionieri e diretta dal famoso pianista e compositore Rafael Schächter intonò il “Requiem” di Verdi.

Il diario del segretario di Eichmann riporta che il gerarca gli sussurrò all’orecchio: “Stupidi ebrei, stanno cantando il requiem per loro stessi”.

Ad ottobre l’intero coro e Schächter furono trasferiti ad Auschwitz e uccisi immediatamente nelle camere a gas. La farsa organizzata dai nazisti ebbe il successo sperato: gli osservatori della Croce Rossa scrissero un rapporto positivo – “a Terezin si vive in condizioni umanitarie perfette” – e per questo la visita programmata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau fu cancellata in quanto non necessaria.

Parallelamente ai preparativi per la visita della Croce Rossa, i nazisti realizzarono un film di propaganda diretto dal prigioniero Kurt Gerron, un famoso regista ebreo tedesco e star del cabaret, intitolato “Theresienstadt. Ein Dokumentarfilm aus dem jüdischen Siedlungsgebie” (Theresienstadt – un documentario sull’ autogestione dell’insediamento ebraico), chiamato dai giornali tedeschi di propaganda “Hitler regala una città agli ebrei”.

Le riprese del film di propaganda furono completate all’inizio di settembre e mostrarono quasi tutta una partita della Liga Terezin giocata il primo settembre davanti a circa 2000 spettatori. Nel giro di sei settimane, i giocatori, i tifosi, la maggior parte del cast e lo stesso Gerron furono deportati ad Auschwitz e gassati. “La cosa sorprendente è la lunghezza della sequenza della partita. In questo modo il calcio a Terezin appare più importante di quanto non fosse in realtà, il che rientra nell’idea propagandistica alla base. Le SS capirono che il calcio era qualcosa che piaceva non solo alla gente del ghetto, ma a tutti nel mondo” – dice lo storico olandese Karl Margry.

Oggi, la storia della lega di Terezin è un potente simbolo di resilienza e speranza. Mentre per i nazisti era uno strumento di manipolazione e propaganda, per i prigionieri rappresentava un modo per mantenere la propria dignità, una forma di resistenza psicologica e un legame con la vita al di fuori del ghetto. La lega di Terezin non fu solo un campionato di calcio: fu una testimonianza dell’ingegno e del coraggio umano di fronte all’oppressione più brutale.

 

Testo di Davide Tuniz. Giornalista, scrittore ed esperto di Brasile e Sudamerica, Davide collabora attivamente con Sottoporta – Il Calcio Internazionale e ha contribuito a numerosi articoli per Football and Life.

Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons: l’ingresso del campo di concentramento di Terezin.

Altre immagini inserite nel testo sono fotogrammi dal documentario disponibile a questo link.