Palo del Napoli…e quel gol a Como

Palo del Napoli…e quel gol a Como

Febbraio 17, 2025 0 Di Davide Morgera

Non è mai stato un bomber da doppia cifra, Francesco Palo. Eppure quel 10 maggio 1981 (data profetica, non c’è che dire!), in quel di Como, il Napoli credette di aver trovato un centravanti vero, sì, uno di quelli che la palla la infila in rete. Come facevano, a quei tempi,  Pruzzo, Altobelli e Graziani. Anche se, per conformazione fisica, il giocatore proveniente dalla Primavera somigliava più a Paolo Rossi, che in quel campionato era in ‘castigo’ per il calcio scommesse. Con i giovani di Mariolino “Foglia morta” Corso, Palo faceva coppia in attacco con Nuccio, un altro bomberino tascabile lanciato da Di Marzio in prima squadra un paio di anni prima. Entrambi rapidi, sguscianti e con un buon fiuto della rete, avevano contribuito a vincere il campionato Primavera nel 1978-79. 

L’attacco napoletano dei ‘grandi’ invece viveva delle fiammate di Claudio Pellegrini, l’unico ad essere presente nei primi posti della classifica cannonieri. Dell’estro incostante di un delizioso Nino Musella e di un ancora guizzante ma poco prolifico Damiani. Quando a Como Rino Marchesi lo lanciò nella mischia, a 25 minuti dal termine al posto di Musella, fu la classica carta della disperazione. Capone e Speggiorin erano entrambi infortunati, l’unica punta in panchina era lui, Palo, seduto vicino ad altri due giovani, Cascione e Ciccarelli.

O la va o la spacca, al Napoli servivano maledettamente i due punti in riva al lago manzoniano perché la ‘speranzella’, la fiammella della rimonta era ancora accesa. Nonostante tutto. Nonostante il ‘fatal’ Perugia di due settimane prima (sconfitta in casa, autorete di Ferrario al 1’ e miracoli del portiere umbro per il resto della partita) e il pari interno con la Fiorentina della settimana precedente (Guidetti aveva riequilibrato su rigore una gara ostica).

Dopo due mazzate del genere, un punto in due gare al San Paolo, qualunque squadra avrebbe mollato la presa, avrebbe abbandonato ogni sogno di scudetto. Questi cattivi pensieri presto, però, abbandonarono la mente dei giocatori in maglia azzurra e del loro condottiero, Rino Marchesi, un lumbard tutto d’un pezzo, un milord dentro e fuori dal campo.

Il tecnico e l’ambiente avevano tenuto accesa la speranza perché nella giornata in cui il Napoli andava a Como, la Juventus e la Roma avevano lo scontro diretto. Un pari sarebbe stato l’ideale. Ed in più, la domenica successiva, i bianconeri sarebbero scesi a Fuorigrotta per lo scontro decisivo. L’unico appiglio era trovare i due punti (allora la vittoria ne valeva solo due) allo stadio Sinigaglia. Il Como era poco sopra la zona retrocessione ma sicuramente non avrebbe regalato nulla ai partenopei, determinati a trovare la matematica salvezza di fronte ai propri tifosi.

Il Napoli, però, scese in campo contratto, forse sotto il peso di una responsabilità troppo grande, quella di poter dire ancora la sua nella lotta per lo scudetto, anche se il gioco dei risultati di quella domenica avrebbe potuto essere tutto a suo favore. La gara visse di fiammate da una parte e dall’altra con le squadre che sembravano controllarsi a vicenda. Schermaglie su entrambi i fronti con Castellini che parava l’ordinaria amministrazione ed il Napoli che si affacciava in area lariana addirittura coi terzini, Bruscolotti e Marangon, autori di due tiri sbilenchi e ciccati. La partita andò avanti così, batti e ribatti. Ai blu di casa sembrava stare più che bene il pari. Per loro significava salvezza. Per gli azzurri, probabilmente, addio ai sogni di gloria. Ma il calcio sa essere cosa emozionante anche quando è brutto, quando non si vede un gran gioco.

E quella domenica lo fu, in uno stadio piccolo, col lago alle spalle ed i tifosi che ti alitavano addosso. Con i muscoli che ormai trasudavano acido lattico e fatica, il Napoli ci mise la furiosa volontà di passare, di andarsi a prendere la vittoria per fare felici le diverse legioni di tifosi che erano accorsi da ogni parte del Nord. Perché azzurro è il colore del cuore. Correva il 90’ minuto e 13” sul cronometro dell’arbitro Menicucci. I giornalisti stavano già ripiegando i loro taccuini, il buio non sembrava lontano. Damiani, in una delle sue fiammate, si inventò uno spunto sulla destra e passò la palla a Celestini che tirò forte ma centrale verso la porta avversaria. Vecchi respinse ma Palo irruppe e con un piatto di sinistro bucò l’estremo difensore segnando il gol della vittoria.

Fu così che la punta cambiò il suo cognome in “Rete”. La gioia del giovane attaccante e dei suoi compagni fu incontenibile, la corsa sotto la curva dei tifosi azzurri fu irrefrenabile. Fu una vittoria che diede una carica eccezionale alla squadra, il nuovo entusiasmo risultò contagioso tra i calciatori azzurri. Più cauti, negli spogliatoi, apparvero i saggi, ovvero Castellini e Krol che predicarono umiltà e dichiararono: “Il nostro obiettivo è la qualificazione in Coppa U.E.F.A.”. Bruscolotti e Marangon, sulle ali dell’entusiasmo, affermarono invece che “adesso non bisogna fermarsi, affrontiamo le ultime due gare con determinazione”.

I microfoni che i giornalisti accesero per ascoltare le dichiarazioni dei quattro giocatori di cui sopra furono, però, in un batti baleno tutti rivolti all’eroe di giornata.  A Francesco Palo da Montecorvino Rovella, cilentano, scoperto e segnalato al Napoli da Apadula, un talent scout del salernitano. Il giovanotto aveva ancora gli occhi arrossati dalle lacrime ma non sembrava vergognarsene.

Era troppa la sua gioia. Gli sembrava troppo anche che Castellini e Krol lo avessero portato fuori dal campo quasi in trionfo. Fu un film che stava vivendo fotogramma dopo fotogramma dove non dimenticò di ringraziare Mario Corso, l’allenatore della Primavera che aveva sempre creduto in lui e Rino Marchesi che lo aveva lanciato nella mischia a rischiare il tutto per tutto. Alla fatidica domanda, “era sicuro di segnare?” rispose: “in una frazione di secondo ho pensato che Vecchi non ce la facesse a trattenere la palla sulla conclusione forte di ‘Pinocchio’ (n.d.a. Celestini), ho visto la porta spalancata. Non potevo sbagliare!”.

Dopo la vittoria di Como al Napoli si aprirono spiragli e spifferi da primo scudetto. Anche per il contemporaneo pari tra Juve e Roma. Restavano due gare in cui gli azzurri si sarebbero giocati il campionato. Mentre i fantasmi del “vorrei ma non posso” dei precedenti tricolori persi al fotofinish (campionato 1970-71 per lo scippo di Milano con l’Inter e 1974-75 per il gol di Altafini “Core ‘ngrato” a Torino) ritornavano.

Riusciranno i nostri eroi a mantenere la concentrazione e i nervi saldi fino in fondo? Il proverbio dice “Non c’è due senza tre” e non sbaglia mai o quasi. Il Napoli fallì clamorosamente le ultime due gare del campionato, la prima in casa con la Juventus (autorete di Guidetti, 0 a 1) e l’ultima, con i remi ormai tirati in barca, ad Udine (2 a 1 per i friulani, Pellegrini in gol).  I numeri però sono numeri. Impietosamente. La classifica finale infatti recitò così : Juve campione a 44 punti, Roma seconda a 42 e Napoli terzo a 38. Se il Napoli avesse battuto la Juve e l’Udinese, avrebbe raggiunto quota 42 mentre i bianconeri avrebbero avuto due punti in meno fermandosi anch’essi a 42. Come la Roma. Per la prima volta, dunque, il campionato sarebbe finito con tre squadre a pari punti. Incredibile ma vero.  

Molti ancora oggi ricordano, in quello sfortunato torneo, la favola di Palo che nella sua vita sarà menzionato per sempre con la voce di un fantasmagorico radiocronista che esclamò “Palo, palo del Napoli…goooool!”. E tutti ci capirono ben poco. Gli azzurri avevano segnato un gol o preso un legno?

 

Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:

Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).

Napoli, sfumature d’azzurro: beffe e belle partite, vittorie e sconfitte. Tutte le sfide nazionali ed europee dal 1909 ad oggi.

Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.

Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.

L’immagine di copertina e le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.