Da Harald Nielsen a Billing passando per Astorri: i danesi a Napoli

Da Harald Nielsen a Billing passando per Astorri: i danesi a Napoli

Marzo 12, 2025 0 Di Davide Morgera

C’è chi diventò danese d’adozione, chi danese lo era davvero e chi danese lo è per parte di madre. La storia che andiamo a raccontarvi intreccia i percorsi di vita e di atleta di tre calciatori che hanno giocato e giocano attualmente nel Napoli, tre nomi che, al di là della meteora Lindstroem (il quarto, di cui forse è meglio tacere…), rappresentano un unicum nella storia della squadra azzurra.

La prima cosa che viene in mente quando si pensa alla Danimarca, per associazione di idee, è la sua bandiera rossa, con una croce bianca che si estende fino ai bordi della stessa. Uno stendardo che ha un suo fascino particolare poiché è il più antico esistente al mondo essendo stato adottato per la prima volta nel 1625. Indubbiamente è anche bello nella sua semplicità e nel suo rigoroso contrasto tra il rosso e il bianco. Poi pensi a Copenhagen e alla qualità della sua vita, alla Sirenetta, alle fiabe di Andersen con cui siamo cresciuti, all’esiguità della popolazione (circa sei milioni di abitanti, quanto Napoli e Roma messi assieme).

Il Napoli 1949-50: Astorri è il terzo accosciato da sinistra

Poi ti ricordi che hanno il monarca, che i vichinghi erano i campioni dei mari e delle tempeste, di Amleto e il castello di Elsinore, dell’Esistenzialismo e di Kierkegaard che al liceo trovavamo ostici, ai Campioni d’Europa nel 1992 da ‘ripescati’, a Povlsen, Larsen, Vilfort, Schmeichel, Jensen, Brian Laudrup. E di incontri col Napoli? Solo in due occasioni gli azzurri hanno giocato in Europa affrontando squadre danesi, la prima volta contro l’Odense nella Coppa delle Fiere del 1966-7 (due vittorie) e poi quando avversario fu il Midtjylland in Europa League nel 2015-6 (anche in questo caso due vittorie).

Dicevamo delle storie sportive e di vita che legano il Napoli alla Danimarca. Partiamo da lontano, stavolta. Nel 1949-50 gli azzurri giocano il loro secondo campionato di serie B consecutivo dopo aver fallito la promozione l’anno prima. Si volta pagina, alla città la cadetteria sta stretta, molto stretta. Il nuovo tecnico è Monzeglio, l’ex campione del Mondo ed intimo del Duce nonché volontario in Russia. La sua vita era già un romanzo.

Al giro di boa la squadra non viaggia proprio ad una media promozione ma gli azzurri avranno un finale travolgente con una difesa bunker e molto accorta. Anche l’attacco funziona a meraviglia con la coppia Suprina (14 reti) e Astorri (10 gol) a cui danno man forte De Andreis (12 marcature) e Krieziu (9 reti). Si ritorna in A in pompa magna, primi in classifica. Mario Astorri, detto “’O sceriffo” per le sue gambe arcuate, acquistato dall’Atalanta, fece la sua parte andando in doppia cifra.

L’anno successivo giocò quasi sempre e segnò 8 reti (Napoli al sesto posto) mentre nel 51-52 collezionò sempre 30 presenze ma stavolta bagnate da 13 reti (Napoli sempre sesto). Nell’ultimo malinconico anno in azzurro, con l’arrivo di Jeppson che gli rubò il posto, mise a segno solo una rete a fronte di 4 presenze (squadra al quarto posto).

Terminata la carriera da calciatore con il Monza, intraprese quella di allenatore. Dopo aver guidato squadre minori, nel 1959 si trasferisce in Danimarca su consiglio del suo ex allenatore Eraldo Monzeglio che vede in lui un buon tecnico in prospettiva. Astorri, chi era costui? Si saranno chieste le squadre danesi. E lui che fa? pubblica su un quotidiano di Copenhagen un annuncio con cui si offre come allenatore. La cosa, incredibilmente, funziona ed Astorri esordisce su una panchina danese nel 1962 con l’Horsholm con cui ottiene la promozione in terza divisione. Nel 1965 passa al Koge BK, dove colleziona un’altra promozione nella massima serie. Nel 1967 allena l’Akademisk Boldklub con cui vince addirittura il campionato.

Tutti questi successi dell’ex ‘Sceriffo’ napoletano lo portano anche a guidare brevemente la nazionale danese prima di tornare ad allenare i club. Dopo l’esperienza con la Danimarca, dunque, torna in panchina con l’Hvidovre IF, l’Holbaek e il Kjobenhavns Boldklub con il quale vince il campionato nazionale nel 1974. 

Astorri col Presidente Musollino

Rimasto in Danimarca, collaborò con una ditta danese di prodotti sportivi occupandosi della distribuzione italiana ma restando, da osservatore, nel mondo del calcio. Infatti, all’inizio degli anni 1980, segnalò al suo ex compagno di squadra Boniperti il giovane talento danese Michael Laudrup che fece una grande carriera nel campionato italiano con Lazio e Juventus. Morì a Copenaghen nel 1989, ormai danese a tutti gli effetti, sebbene non rinnegò mai le sue origini piacentine.

Il primo danese che giocò nel Napoli fu Harald Nielsen, campionato 1968-69, l’anno delle contestazioni giovanili e della maglia azzurra col colletto bianco. In squadra ci sono mostri sacri come Zoff, Panzanato, Juliano, Bianchi, Canè, Altafini, Stenti, Pogliana, Montefusco, Nardin, calciatori che avevano dato tante gioie ai tifosi azzurri arrivando secondi dietro al Milan nel campionato precedente. Il popolo di Partenope si aspettava, dunque, una degna campagna acquisti per puntare dritto al triangolino tricolore.

Il Napoli 1968-69

Ed il presidente Corcione non volle deludere la folla di appassionati. Via Pesaola, arriva Chiappella al timone della squadra. Nella casella degli arrivi si registrano i nomi di Claudio Sala (futuro crack rivenduto ad una cifra blu al Torino), Egidio Salvi e due reduci degli squadroni del Nord, rispettivamente l’ex interista Guarneri e l’ex felsineo Nielsen. Peccato che quando Corcione lo prese, Nielsen era già rotto, mezzo acciaccato e le straordinarie stagioni al Bologna erano solo un ricordo. 81 reti in 157 partite con gli emiliani, due volte capocannoniere della serie A, una Mitropa Cup vinta nel 1961, uno scudetto nel famoso spareggio con l’Inter nel 1964 (dove realizzò una rete). Insomma Nielsen era un’ira di Dio e con Pascutti formava una delle coppie gol più prolifiche del campionato.

Rapido, potente, preciso sotto porta, Harald era una specie di torello selvaggio nell’area avversaria. Del resto il Bologna ci aveva visto bene andando a pescarlo in un campionato minore come quello danese dove aveva una media di quasi un gol a partita con il Frederikshavn. A Napoli, però, nonostante avesse solo 27 anni, venne a svernare, a rimpinguare quel ‘cimitero degli elefanti’ di cui spesso i napoletani hanno visto le ‘gesta’. L’intenzione di Chiappella era di impiegarlo, in attacco il posto se lo sarebbero giocati lui e Paolone Barison visto che Altafini era inamovibile. Nielsen giocò la prima partita, sostituito. Rientrò a Bologna alla sesta e segnò il gol della bandiera (2 a 1 per i rossoblu), poi iniziarono gli infortuni.

Harald Nielsen in azione contro il Palermo

Si riaffacciò in formazione a Pisa nell’ultima del girone d’andata e a Verona la domenica successiva, due sconfitte per 1 a 0. Ancora un infortunio. Rientrò ad aprile contro la Juve e poi a fine campionato fu schierato sempre al posto di Altafini. Mise a segno solo un’altra rete, nel match contro il Cagliari, 2 a 1 in casa (Canè e Riva gli altri marcatori) totalizzando la miseria di 10 presenze. L’anno dopo fu svenduto alla Sampdoria dove collezionò 4 presenze e zero gol prima di ritirarsi dal calcio giocato a soli 28 anni. Nonostante questo rapido declino, Nielsen è comunque rientrato tra la Hall of fame del calcio danese in virtù di quanto seppe fare in Italia e con la Nazionale olimpica del suo paese con la quale, ai Giochi Olimpici del 1960, conquistò l’argento di un ottimo secondo posto.

Dal biondino con gli occhi azzurri, Nielsen, al barbuto nigeriano, Billing, il calcio globalizzato di oggi si dimostra tutta un’altra cosa rispetto agli schemi predefiniti del passato. Madre danese, papà nigeriano, il tuttocampista Philip, che di secondo nome fa Anyanwu tanto per non smentire le sue origini, ha scelto di giocare per la Danimarca pur avendo la cittadinanza nigeriana.

A 18 anni esordì in Premier League con l’Huddersfield Town prima del passaggio fondamentale al Bournemouth dove in sei anni ha messo a segno 28 reti in 183 partite. Non male per un centrocampista molto fisico, mancino, uno che sa fare il mediano, può adattarsi a trequartista e non disdegna inserimenti letali in area avversaria. Le sue caratteristiche tecniche le stiamo imparando a conoscere e, andrà come andrà questo campionato, ci ricorderemo per sempre di quel gol all’Inter quando ci mise il piedone e fece esultare uno stadio intero come non si faceva da tempo. Al giovanotto, che ispira simpatia e che gode di buona salute, auguriamo di fare una lunga carriera nel Napoli e di non seguire le orme di Nielsen. Stai sempre in forma, “Filippo coscia lunga”!

 

Testo di Davide Morgera. Professore e scrittore, cultore della storia del calcio e del Napoli. Ha pubblicato quattro libri:

Cronache dal secolo scorso: atti unici nella storia del Napoli (con Urbone Publishing).

Napoli, sfumature d’azzurro: beffe e belle partite, vittorie e sconfitte. Tutte le sfide nazionali ed europee dal 1909 ad oggi.

Azzurro Napoli. Iconografia inedita di una passione infinita.

Volevo essere Sergio Clerici. Memorie e storie di calcio.

L’immagine di copertina e le foto del testo sono tratte dall’archivio personale di Davide Morgera e utilizzate su autorizzazione dell’autore.