Storia di due Thierry Henry

Storia di due Thierry Henry

Aprile 12, 2025 0 Di Luca Sisto

Siamo a Chieri, un comune di 35.000 anime situato sulle propaggini sudorientali delle colline torinesi.

La locale squadra di calcio, l’A.S.D. Chieri, milita dalla stagione 2009-10 ininterrottamente nel girone A della Serie D.

In questa stagione, il club si trova penultimo in classifica, e sta tentando una disperata risalita, quantomeno verso la zona playout.

A rinforzare l’attacco, dopo alcune esperienze in Promozione ed Eccellenza piemontese con club appartenenti alla stessa proprietà del Chieri (Luese e Carrara), è arrivato, a dicembre, un bomber francese di origini camerunensi. Di nome fa Thierry, di cognome Henry.

Capelli intrecciati, falcata e stazza che ricordano da lontano il centrocampista camerunense del Napoli Frank Zambo Anguissa, ma movenze che per traslazione sembrano derivare direttamente da un suo ben più illustre omonimo, che in Piemonte, sponda Juventus, c’era arrivato, pure lui, dalla Francia. O meglio, da Monaco. Ma questa parrebbe un’altra storia, se non fosse che si tratta pur sempre di calcio, e il pallone, si sa, è capace di giri immensi, come l’amore.

Thierry Henry da Versailles nasce il 19 novembre 2003, mentre l’Arsenal è già nel pieno ritmo di una stagione che permetterà al club londinese di passare alla storia come “The Invincibles”. Tre giorni dopo la nascita del piccolo leone indomabile, Thierry Henry, quello famoso, manda per tre volte in porta i compagni in quel di Birmingham. Contro il City, l’Arsenal vince 0-3 e in gol ci vanno Ljungberg, Bergkamp e Pires, giocatori manifesto di una stagione trionfale, senza sconfitte in Premier, ma con la macchia dell’uscita dalla Champions League contro il Chelsea formato Ranieri del nuovo boss Roman Abramovich.

The Invincibles: la parabola vincente dell’Arsenal degli Invincibili

L’attaccante francese, con i genitori originari delle isole caraibiche Martinica e Guadalupe – territori d’Oltremare a cui la Francia tutt’oggi nega l’affiliazione alla FIFA, ma che ben si disimpegnano nella CONCACAF – era stato una felicissima intuizione di Arsene Wenger dopo l’estate del 1999. Reduce da 10 mesi terribili alla Juventus, durante i quali era stato sottovalutato sia da Lippi, poi esonerato, che da Carlo Ancelotti, che lo schierava sull’esterno, Henry aveva collezionato solo 16 presenze e 3 reti in maglia bianconera, perlopiù da subentrante. Di lui ci si ricorda soprattutto una doppietta all’Olimpico contro la Lazio, in una partita – stregata per Christian Vieri e gli avanti biancocelesti e disastrosa per il portiere Marchegiani – che segnò una brusca frenata della squadra di Sven Goran Eriksson nella volata Scudetto, poi persa, contro il Milan di Zaccheroni.

Il nuovo Thierry Henry, insomma, era un neonato quando l'”Originale” era ormai sulla cresta dell’onda e si era lasciato alle spalle l’infelice esperienza nella Torino bianconera.

Fast forward alle ultime 9 partite del girone A di Serie D, e Thierry Henry ha già timbrato il cartellino 5 volte, con gol da 3 punti contro l’Imperia e una rete di sinistro, in diagonale, contro il Città di Varese, che ha ricordato da vicino un gol molto più famoso di Thierry Henry al Real Madrid nell’andata degli Ottavi di Finale di Champions League 2005-06.

Coincidenze interessanti: sul gol del momentaneo 2-1 di Thierry Henry domenica 6 aprile, pur giocando il Chieri in casa, si sono sentiti dallo sparuto pubblico in trasferta nelle tribune dei “buu” razzisti molto poco simpatici, con i quali il nostro ha dovuto convivere così come l’Originale, che si è per decenni battuto contro il razzismo, subendo direttamente e indirettamente episodi clamorosi, come le famose parole dell’ex CT spagnolo Aragonés al compianto Reyes nel 2004, o gli ululati del Bernabéu quando l’Arsenal giocava a Madrid nelle coppe e quando, una volta al Barcelona, si sarebbe ritrovato a giocare contro i club di Madrid, specialmente l’Atletico, anche in Liga.

La statua dedicata a Thierry Henry all’esterno dell’Emirates Stadium (Wikimedia Commons)

La seconda coincidenza è che, nella settimana in cui il nuovo Thierry Henry è sui taccuini di mezzo settentrione professionistico per la prossima stagione, l’Originale – che oggi è un ottimo “pundit” per la CBS – è tornato a Londra a vedere l’Arsenal martedì scorso nell’andata dei quarti di finale di Champions proprio contro il Real Madrid. Ha mostrato la sua statua nei pressi dell’Emirates ai figli, i quali gli hanno simpaticamente chiesto perché sembrasse triste nella scultura. Henry è stato allo scherzo, rispondendo che “odiava giocare il North London Derby contro il Tottenham, per questo sembrava triste pure nell’esultanza”. 

Il gol che ha ispirato l’esultanza knee slide e, di conseguenza, la statua, fu realizzato partendo da dietro la metà campo al 13′ minuto di Arsenal – Tottenham 3-0 (il gol aprì le marcature), giocata nel vecchio Highbury il 16 novembre 2002.

La traiettoria spazio temporale dei due Henry si è riunita attraverso una linea immaginaria che va dalla provincia torinese fino a Londra, passando per Madrid. Quel sinistro di Henry al Città di Varese, tocca da vicino la stoccata mancina di Henry a Casillas del febbraio 2006, quando il fuoriclasse parigino partì da metà campo, ricevendo palla da Pires, senza più restituirla: dopo aver resistito alla timida carica di Ronaldo Fenomeno, saltò il povero Mejia, evitò il ritorno di Guti e anticipò la scivolata alla disperata di Sergio Ramos con un preciso diagonale che colse in controtempo Casillas.

L’Arsenal vinse 1-0 al Bernabéu, tenendo l’ultima generazione perdente dei Galacticos sullo 0-0 nel ritorno, in una corsa che li avrebbe portati sino alla finale, persa di rimonta contro il Barcelona di Ronaldinho ed Eto’o, con quest’ultimo che aveva pareggiato lo svantaggio iniziale firmato Sol Campbell. Nella mente, il gol del carneade Juliano Belletti per il 2-1 finale in diagonale ravvicinato fra le gambe di Almunia, il portiere spagnolo che aveva sostituito Lehmann, espulso nel primo tempo.

Solo dieci giorni prima, Henry e l’Arsenal avevano giocato l’ultima partita nello stadio di Highbury, un 4-2 contro il Wigan sufficiente ad operare il sorpasso al quarto posto utile per la Champions ai rivali degli Spurs, sconfitti contro il West Ham in un altro dei tanti derby londinesi della Premier.

L’ultima partita ad Highbury, Arsenal – Wigan 4-2 (Wikipedia)

Higbury non c’è più, rimpiazzato dal gigantesco Emirates Stadium e da un ricco complesso residenziale che ancora ne ricalca il nome e la storia architettonica.

Henry avrebbe poi vinto la sua prima e unica Champions League, ma non con l’Arsenal: passò al Barcelona di Messi, Xavi e Iniesta ed Eto’o, in una sorta di team Avengers, sollevando il trofeo nella finale del 2009 contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney e Alex Ferguson.

Nel frattempo, Thierry Henry, in quel di Chieri, cerca i gol salvezza che gli consentirebbero di attrarre sempre più le sirene del professionismo, per continuare il sogno di un pallone che non smette di rotolare, dal Piemonte a Londra, dai Caraibi all’Africa, dove sono le radici della famiglia del nuovo Henry.

Ah, dimenticavo, scherzi del destino: tutti sapete come vengono chiamati i calciatori della nazionale del Camerun, i “Leoni Indomabili”. Bene, vi basti perciò conoscere il simbolo degli azzurri del Chieri: il leone, ovviamente.

A proposito di leoni: i giocatori della nazionale azzurra campione del Mondo che il 14 novembre (un mese che torna spesso nella nostra storia) 1934 giocarono e persero con onore 3-2 contro i presunti Maestri Inglesi in terra d’Albione, vennero ribattezzati “i Leoni di Highbury”.

Highbury, leoni, vi dice niente? Se siete arrivati fin qui, il cerchio si chiude.

 

Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio, basket e atletica. Tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun. Lavora nel turismo.

Immagine di copertina tratta da Wikipedia.