
Che fine ha fatto Mykhailo Mudryk?
Aprile 13, 2025Mykhailo Mudryk, a oltre due anni dalla cessione da 100 mln di Euro al Chelsea con la quale l’oligarca ucraino e proprietario dello Shakhtar Donetsk Rinat Akhmetov ha in parte finanziato le operazioni dell’esercito ucraino a Mariupol – o, quantomeno, tentato di attutire le drammatiche conseguenze della guerra – è letteralmente scomparso dai radar a causa di una sospensione per presunto doping (meldonium, un vasodilatatore) seguita ad un controllo del novembre 2024 al di fuori dei confini inglesi.
Il giocatore non sembra più rientrare nei piani dei Blues, pur non essendo ancora stato squalificato ufficialmente. Rischia dai due ai quattro anni per uso della stessa sostanza dopante che mise fuori gioco la fuoriclasse del tennis Maria Sharapova, ma le controanalisi, annunciate a gennaio, poi rinviate a marzo, non sono ancora state svolte né confermate ufficialmente.
Mudryk ad oggi è in un limbo. Non può giocare, non può avvicinarsi al centro sportivo di Cobham. Ha perso la nazionale, della quale era considerato il talento più fulgido. Il Chelsea gli ha messo a disposizione un preparatore e un programma personalizzato come parte del lauto stipendio che gli riconosce, dilazionato con uno di quei contratti a 8 stagioni (e mezza) con i quali la nuova proprietà dei Blues post-Abramovich, capitanata dall’americano Todd Boehly, ha cercato di giustificare nel tempo il miliardo e più di sterline investito in sole quattro sessioni di mercato. Risultato? Una cinquantina di calciatori, perlopiù giovanissimi, a libro paga, metà dei quali l’attuale allenatore Enzo Maresca non sa cosa farsene. E Mudryk era uno di questi, ancor prima della squalifica.
Per capire come si sia arrivati a distruggere un talento di queste dimensioni calcistiche e soprattutto, politiche, vista la guerra in atto, dobbiamo però prenderla alquanto larga.
Chi è Rinat Akhmetov
Domenica 15 ottobre 1995, a Donetsk era in programma un’amichevole in famiglia tra la prima squadra e le giovanili dello Shakhtar. Il presidente del principale club dell’omonimo oblast, Akhat Bragin, noto alle cronache internazionali col soprannome di “Alik the Greek”, ricco esponente della mafia locale, aveva preso posto nella tribuna dello Stadio Shakhtar insieme alla scorta e ai suoi protégé.
Tra gli invitati alla partita figurava uno dei più importanti tifosi e investitori del club, Rinat Akhmetov, anch’egli di origine tatara, musulmano sunnita praticante. Ex pugile professionista con la passione per il calcio, oligarca, ma proveniente da una famiglia operaia (padre minatore, madre impiegata), Akhmetov aveva, come di consueto, salutato al mattino gli operai dell’acciaieria Azovstal di Mariupol per recarsi a Donetsk, in vista del suo passatempo preferito – dopo le belle donne e le macchine conta-soldi, si intende – lo Shakhtar.
Akhmetov salì sulla sua auto blindata – un ultimo cenno cordiale all’ingegnere capo – e fece segno all’autista di sbrigarsi, che ben più interessanti faccende lo attendevano. Giunto a Donetsk, l’uomo si trovò imbottigliato in un traffico senza precedenti. Mentre imprecava contro la malasorte, sulle tribune dello stadio, Akhat Bragin e quattro dei suoi uomini saltavano in aria a causa di una bomba ben piazzata. Da chi, resta un mistero ai giorni nostri.
A Bragin non mancavano nemici. Era sopravvissuto ad almeno altri due attentati ed era noto, nell’ambiente, che i capo-mafia di Donetsk, in perenne guerra con l’altro clan della regione, quello di Dnipropetrovsk, avessero vita breve. Il colpo di fortuna di Akhmetov, mascherato dall’episodico ingorgo in città, gli salvò la pelle e in breve tempo l’uomo divenne il nuovo patron della sua squadra del cuore, prendendo in tutto e per tutto il posto del suo ex capo-clan, in onore del quale concluse la costruzione della moschea cittadina.
Per restare in vita e continuare a godere del suo Shakhtar in pace, Akhmetov sapeva di dover scendere a compromessi con un numero di persone ben definito.

Rinat Akhmetov con il suo allenatore feticcio, il leggendario rumeno Mircea Lucescu (Wikimedia Commons)
La delicata situazione del Donbass e la deflagrazione che ha portato alla guerra
Akhmetov, in poco tempo, attraverso la gestione occulta degli appalti della regione del Donbass ereditata da Bragin, divenne l’uomo più ricco d’Ucraina.
Sul fronte politico, Akhmetov convinse Kuchma, il padre-padrone del Paese, a puntare su un solo cavallo per la sua successione e per evitare il carcere: Viktor Yanukovych. Col denaro dell’oligarca di Donetsk, Yanukovych e il Partito delle Regioni vinsero le elezioni del 2004 sbaragliando la concorrenza di Viktor Yushchenko e Yuliya Tymoshenko. Questi ultimi condussero un’aggressiva protesta di piazza, che sfociò nella cosiddetta “Rivoluzione Arancione”, denunciando brogli elettorali che portarono alla sfiducia nei confronti di Yanukovych, il quale fu costretto a rinunciare.
Il nuovo governo ebbe però vita dura. Nelle successive elezioni del 2010, Yanukovych approfittò delle spaccature della coalizione di governo e vinse, stavolta in maniera pulita. La transizione di potere in Ucraina era completa. Sotto la presidenza Yanukovych, Akhmetov triplicò la sua ricchezza, diventando l’uomo più potente dell’intera Ucraina, non solo delle aree russofone del Donbass.
Mentre la sua influenza in tutti i settori del Paese cresceva, lo Shakhtar sostituiva la Dinamo Kiev quale club leader del campionato ucraino.
La passione di Akhmetov per il calcio lo aveva spinto ad investire profondamente nel club, anche e soprattutto, com’è logico, per costruirsi un’immagine, a livello nazionale e internazionale, diversa da quella dell’oligarca mafioso venuto dal nulla.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin: l’inizio di una nuova guerra
Il conflitto russo-ucraino, esploso definitivamente in tutta la sua violenza con l’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin a febbraio 2022, non è in realtà un qualcosa di nuovo.
Da otto anni nella regione del Donbass era in corso una guerra “a bassa intensità”, scaturita dalla detronizzazione di Viktor Yanukovych tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, attraverso le proteste di Piazza Maidan. Euromaidan, come vennero definiti quei tumulti di piazza filo-europeisti, ebbe luogo a causa dell’interruzione delle trattative tra il governo Yanukovych e l’Unione Europea sul trattato di associazione, step preliminare per una futura adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.
La spaccatura elettorale tra le regioni orientali e quelle occidentali, con Kiev al centro a fare da storico ago della bilancia, divenne insostenibile. La regione del Donbass, da sempre russofona e vicina alle posizioni di Mosca, prese autonomamente – o meglio, col sostegno della Russia – un’altra strada: vennero proclamate la Repubblica Autonoma di Donetsk e la Repubblica Autonoma di Luhansk.
Fu questo probabilmente l’inizio di un qualcosa di più grave – con la Russia che occupò militarmente la Crimea e col Donbass ormai in preda ad una guerra civile che si protrae fino ai giorni nostri – con una guerra fratricida in scala esponenzialmente più vasta.
Gli enormi interessi economici nella regione spinsero Akhmetov su posizioni dapprima ibride – lui che da sempre era sembrato più vicino a Mosca che a Kiev – poi apertamente filo-nazionaliste, con un marcato appoggio al nuovo governo insediatosi a Kiev, ora che Yanukovych non era più al potere a favorirne gli appalti.
La fortuna di Akhmetov, che sotto il governo del Partito delle Ragioni aveva raggiunto una stima massima di 11.7 miliardi di $, era scesa al di sotto dei 6 miliardi con l’invasione russa.
La distruzione della Donbass Arena e il lungo peregrinare dello Shakhtar
Attualmente, Akhmetov si trova al numero 370 fra i 500 uomini più ricchi del mondo. Simbolo del suo potere all’estero, oltre ad un attico del valore di 400 mln di sterline a One Hyde Park a Londra e a numerose proprietà nel sud della Francia, è la Donbass Arena di Donetsk. Costruita nel 2009 in vista degli Europei ospitati da Polonia e Ucraina nel 2012, l’arena polifunzionale di Donetsk è stata pesantemente danneggiata nel 2014 da una serie di ordigni che l’hanno colpita nel corso delle ostilità nella regione.

La Donbass Arena durante Euro 2012 (Wikmedia Commons)
Da allora, lo Shakhtar Donetsk e gli altri club del Donbass hanno dovuto cercare ospitalità in giro per l’Ucraina. Dapprima a Kharkiv, successivamente a Lviv e Kiev. Tutto questo ha creato una sorta di vuoto nel sostegno intorno alla squadra, alla ricerca di nuovi tifosi e di un appoggio in località storicamente poco inclini ad accogliere e tollerare la parte russofona del Paese.
Oggi la Donbass Arena appare come uno stadio fantasma, simbolo di una squadra in esilio e di un Paese in rovine, certo per colpe le cui percentuali dalla parte di Mosca.
Rinat Akhmetov, accusato dal presidente Zelensky di tradimento e cospirazione ben prima dell’invasione russa, si è sempre difeso e più volte è stato visto mediare (con Roman Abramovich dall’altra parte del tavolo) nelle trattative fra Russia e Ucraina. Un dialogo pressoché inesistente, che ha lasciato spazio a morte e distruzione.
L’assedio di Mariupol e la guerra più disastrosa combattuta in territorio europeo dai tempi dei conflitti nei Balcani
I ricordi di Akhmetov, l’acciaieria Azovstal e ciò che resta di Mariupol, una città in cui il 98% degli edifici risulta oggi devastato o completamente raso al suolo, ci riportano nel sottosuolo di una delle tre aziende più importanti della regione. I bunker della Azovstal, azienda nella quale prima della guerra risultavano impiegate decina di migliaia di persone, sono diventati l’oggetto del contendere di una partita ben più grande, quella per il destino dei civili superstiti e delle truppe militari e para-militari impegnate sul territorio contro i separatisti russi e le truppe di Mosca.
L’assedio di Mariupol verrà ricordato dalla storia come uno dei più sanguinosi del dopoguerra, il peggiore in Europa dai tempi di Sarajevo. Rinat Akhmetov, in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, riferì che al termine della guerra si sarebbe fatto carico integralmente della ricostruzione della città attraverso la fondazione umanitaria che porta il suo nome.
La guerra non è ancora finita, i colloqui di pace promossi dal neo eletto Presidente americano Donald Trump, per adesso, non hanno fatto altro che portare un clima di rinnovata sfiducia fra Putin e Zelensky.
La cessione di Mykhailo Mudryk al Chelsea e la rapida distruzione di un talento
Due anni fa, intanto, Rinat Akhmetov è tornato alla ribalta delle cronache, con dichiarazioni che hanno fatto scalpore: con la cessione della stella ucraina Mykhailo Mudryk al Chelsea per un totale di oltre 80 mln di sterline, circa 100 mln di Euro, nel gennaio 2023, l’oligarca ha affermato che parte di quel denaro (25 mln di euro) sarebbe servito, attraverso la sua fondazione, a dare sollievo ai soldati e alle loro famiglie e ad assistere malati, infermi e reduci.
In buona sostanza, a finanziare la resistenza delle truppe a Mariupol.
L’allora allenatore Graham Potter accolse Mudryk con relativa soddisfazione, in un momento in cui aveva già abbondantemente perso il bandolo della matassa e la sua fama di “mago” aveva già lasciato spazio a mille perplessità. Il giorno della presentazione a Stamford Bridge, il Chelsea era riuscito a tornare alla vittoria dopo dieci turni contro il Crystal Palace, uno striminzito 1-0 firmato da Kai Havertz, altro gioiello protagonista della vittoria in Champions League della squadra di Tuchel, e che oggi è nelle fila dell’Arsenal.
A proposito dei Gunners, fino all’ultimo giorno di mercato il club del Nord di Londra aveva tentato di strappare l’ala ucraina al Chelsea, ma Mudryk quel giorno di gennaio era a Stamford Bridge, avvolto in una bandiera ucraina, a testimonianza del fatto che il suo acquisto non parlava solo di mero football.
Il licenziamento di Potter, sostiuito da Frank Lampard di lì a poco, lasciò poco spazio alle velleità di Mudryk, il quale dovette attendere l’ottobre successivo, con Mauricio Pochettino allenatore di un Chelsea senza un chiaro progetto tecnico in mente, con risorse sperperate per calciatori giovani e sconosciuti, sì, ma anche troppo spesso strapagati e in ruoli già coperti, per trovare la sua prima marcatura, in casa del Fulham.
La sua seconda stagione, la prima giocata per intero, in maglia Chelsea, si concluse con 31 gare in Premier League, 18 da titolare, con 5 gol e 2 assist. Bottino abbastanza deludente per un calciatore pagato quella cifra, ma cominciavano a intravedersi sprazzi di talento a velocità di punta supersoniche.
Con la fine del breve regno di Pochettino, oggi CT degli USA, il Chelsea si è affidato a Enzo Maresca che ha fatto piazza pulita di metà squadra, mentre la proprietà continuava ad acquistare un numero impressionante di prospetti in un estremo utilizzo del player trading, che ricorda più una sessione drogata di Football Manager che un reale calciomercato di un club di alto rango della Premier League.
Mudryk ha anche provato a cambiare la sua immagine. Ha tagliato i capelli biondi da bravo ragazzo, preferendo una testa rasata più cupa e militaresca, con i tatuaggi sul collo in bella mostra. Ha spinto al limite la sua voglia di emergere in ritiro, quasi come a voler giustificare quella maglia col 10 sulla schiena. Un numero che non si elargisce a caso, quando attorno hai un contingente di 50 calciatori affamati di successo, in uno dei club più ricchi – e spendaccioni – del mondo.
Ma non è bastato.
Maresca ha preferito utilizzare l’ala sinistra, reduce da un europeo non eccezionale con l’Ucraina, perlopiù in Conference League, dove il ragazzo si misura con degli avversari obiettivamente non all’altezza e mette a referto 3 gol e 3 assist in sole 4 partite.
Il 28 novembre 2024 Mudryk segna all’Heidenheim in Conference l’ultimo gol in maglia Blues. In Premier raccoglie 7 presenze, una sola dall’inizio, e va in distinta l’ultima volta a Stamford Bridge nel 3-0 contro l’Aston Villa del primo dicembre 2024, senza trovare minutaggio.
Da lì in poi, il buio.
La notizia della positività al meldonium, una sostanza che stimola il flusso sanguigno inventata da uno scienziato lettone per le truppe sovietiche, e che già aveva messo fuori gioco la Sharapova, considerata fra le sostanze dopanti dal gennaio 2016, costringe la FA a sospenderlo a tempo indeterminato, in attesa delle controanalisi.
Mudryk si dichiara estraneo ai fatti, o quantomeno sostiene di non aver assunto volontariamente alcuna sostanza dopante; fra l’altro il meldonium non è ufficialmente disponibile in Gran Bretagna, e si ritiene che la positività sia avvenuta assumendo il farmaco al di fuori del Regno Unito, probabilmente durante la pausa nazionali di poche settimane prima.
Da allora, una rincorsa alle controanalisi delle urine che si sussegue senza una data certa. Possibile che un calciatore di questo livello non abbia diritto di replica? Gli stessi avvocati appaiono confusi ed ovattati nelle dichiarazioni, mentre il Chelsea ne sta forse “approfittando” per liberarsi di un calciatore ormai al di fuori dell’attuale progetto tecnico, in un ruolo ampiamente coperto e per il quale il Chelsea continua ad acquistare elementi spendendo centinaia di milioni, vedasi i 53 spesi per il 17enne Geovany Quenda dallo Sporting Lisbona, in un pacchetto da 75 mln che ne comprende altri 22 per il centrocampista 20enne Essugo.
La bulimia del Chelsea sul mercato, la mancanza di continuità del progetto tecnico, e l’attuale disinteresse del manager italiano Maresca per le qualità di Mudryk, avrebbero spinto l’ucraino via da Stamford Bridge in ogni caso.
La positività al doping, in fin dei conti, pur deprezzando all’inverosimile il valore di mercato già fluttuante verso il basso del calciatore, è probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il pericolante vaso del talento ex Shakhtar.
Ora, in attesa della sentenza, la speranza è quella di salvare anzitutto l’uomo, e poi il calciatore, che è ancora giovanissimo (24 anni compiuti il 5 gennaio) e nel pieno della carriera.
Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio, basket e atletica. Tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun. Lavora nel turismo.
Il testo è in parte tratto da scritti dello stesso autore, apparsi sul volume 4 di Sottoporta Review, edita da Urbone Publishing.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.