L’Italia e la classe del 2006
Giugno 14, 2025Berlino, nove luglio 2006. Con l’ingresso in campo di Daniele De Rossi al minuto 61 della finale dei Mondiali tra Italia e Francia, sono cinque i futuri allenatori professionisti contemporaneamente in campo per gli Azzurri.
Si tratta del capitano Fabio Cannavaro, che di lì a poco solleverà la coppa per nazionali di calcio più ambita del mondo. Del terzino sinistro Fabio Grosso, che segnerà il rigore decisivo nella lotteria finale. Della coppia di centrocampisti centrali, Rino Gattuso e Andrea Pirlo, complementari in campo, cervello / piedi, cuore / polmoni, diversi in panchina. Di Daniele De Rossi, appunto, che Lippi – dopo l’espulsione rimediata contro gli USA – aveva paragonato ad un polpo, “che deve cuocere nell’acqua sua”, e che il suo rigore in finale l’avrebbe trasformato, consegnandosi alla leggenda insieme agli altri.
Se scaviamo leggermente più a fondo, in panchina, troviamo Pippo Inzaghi, una vita sul filo del fuorigioco a realizzare caterve di gol decisivi spuntando dal nulla, con una tecnica efficace per quanto apparentemente sgraziata. Gilardino, un altro che di gol pesanti se ne intende. Oddo, terzino destro che il suo contributo alla causa l’ha dato eccome. E, se si considera l’infortunato Alessandro Nesta (in tribuna), quel giorno sul terreno di gioco dello Stadio Olimpico di Berlino, della classe del 2006 partorita dalla mente di Marcello Lippi, fra Serie A e Serie B salgono addirittura a 9 – sui 23 convocati – i futuri allenatori. Senza pertanto contare chi, come Zambrotta, avrebbe allenato con ruoli marginali in giro per il mondo, per un po’, più che altro da vice.
La vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006: qualcosa da dimostrare
Va da sé che la gloria eterna di quei campioni del Mondo, si sia tradotta nella gratitudine del calcio nostrano per i decenni a venire. Non si spiega altrimenti, se non con un mix di benevolenza e bravi procuratori, il continuo ricorso di club e persino nazionali alla classe del 2006 che rese grande l’Italia.
Tutto ciò nonostante risultati quasi mai all’altezza delle aspettative. Gli uomini di Lippi, che quattro anni più tardi avrebbe scoperto quanto eterea possa essere la gratitudine nel calcio (e nella vita), hanno costruito su quella sera di Berlino gran parte della loro carriera dopo il ritiro dal calcio giocato.
Parliamo anzitutto di autentici campioni, non solo del mondo. Gente che ha vinto tutto e che, se proprio tutto non ha vinto, è entrata nel cuore di milioni di tifosi e appassionati in Italia e all’estero.
Ma per essere allenatori di successo, non è affatto una conditio sine qua non l’aver sollevato trofei a bizzeffe sul campo.
Altrimenti, le carriere in panchina di Fabio Cannavaro, che per primo seguì in Cina Marcello Lippi, di Andrea Pirlo, il Maestro che avrebbe dovuto dare un gioco spumeggiante alla Juventus reduce da nove titoli di fila in serie A; di Gattuso e di tutti gli altri, avrebbero dovuto rasentare la perfezione quanto a successi alla guida delle varie compagini che si sono affidate alla loro classe.
Eppure, quella vittoria contro la Francia di Henry e dell’ultimo “colpo di testa” di Zidane, rappresenta l’ultima volta in cui l’Italia ha vinto una gara ad eliminazione diretta ai Mondiali di calcio. Nello specifico, una finale.
Da allora: in Sudafrica e Brasile, siamo usciti inopinatamente ai gironi. E quel morso di Suarez a Chiellini, con il successivo gol di Godin dell’Uruguay, rappresentano le ultime istantanee degli Azzurri in coppa del Mondo.
Né il disastroso Ventura, né Mancini – che pure ci aveva portato a vincere gli Europei – sono riusciti a condurre l’Italia alla fase finale dei Mondiali.
Sappiamo tutti com’è andata dopo le dimissioni del Mancio.
L’inesauribile Gravina, incassato l’abbandono in medias res dell’ex fuoriclasse doriano, ha virato sull’uomo che aveva appena riportato lo Scudetto a Napoli dopo 33 anni.
Quel Luciano Spalletti che quell’impresa se l’era addirittura tatuata sulla pelle e che sognava di ripetersi anche a livello di nazionale. Anzitutto, facendo bella figura agli Europei, dove l’Italia si è qualificata da campione uscente, per il rotto della cuffia. Poi, riportando gli Azzurri ai Mondiali. E, nel 2026, in USA – Canada – Messico, tentare di riportare la nazionale ai fasti di un tempo.
Spalletti ha fallito agli Europei, con gli azzurri ancora una volta spediti a casa dalla Svizzera; è uscito dalla Nations League contro la Germania. E ha rimediato una terribile disfatta in Norvegia, nella prima partita dell’Italia valida per le qualificazioni ai Mondiali. Una sconfitta che, con tutta probabilità, vuol dire già playoff e – quindi – ennesimo Mondiale a rischio.
Spalletti, alla faccia dell’amicizia millantata in conferenza stampa con gli alti vertici federali, è stato lasciato solo. Dai calciatori, sul campo, da chi c’era ma è come se non ci fosse stato, e da chi ha persino rifiutato la convocazione.
Il delitto perfetto si è consumato fra la gara con la Norvegia e quella con la Moldavia: Spalletti è stato esonerato, ma il dramma comunicativo è esemplificato dal fatto che ha dovuto rendere pubblica la cosa lui stesso, senza nessuno al suo fianco a sostenerlo.
Gigi Buffon, altro reduce di Berlino e oggi capo delegazione, ha glissato, prima di Italia – Moldavia, al Mapei Stadium di Reggio Emilia, deviando il discorso sul futuro allenatore. Spalletti ha condotto i suoi ad un’ultima triste vittoria contro un avversario non irresistibile, che solo la sfortuna e il VAR hanno tenuto lontano da un incredibile upset.
E torniamo quindi agli antichi dolori dell’Italia pallonara. Gli stranieri, il calcio da strada, il talento che non c’è, i politici attaccati alla poltrona contro tutto e tutti, contro l’evidenza della propria stessa incapacità.
E, perché no, torniamo alla classe del 2006. Giacché il guru Ranieri, che ha salvato in parte la stagione della sua Roma, ha detto no. Basta. Troppo rischioso, non se l’è sentita Sor Claudio. E dategli torto.
Ma, stando solo all’ultima travagliata stagione, di preciso, cos’hanno concluso i nostri eroi?
Molto bene in Serie B, ad esclusione di Pirlo esonerato dalla Samp. Grosso (esonerato a Lione lo scorso anno) primo col Sassuolo, non una sfida impossibile per la verità, e Pippo Inzaghi promosso da secondo con il Pisa; questa sì, impresa ardua, dopo 34 anni.
Massimo Oddo è retrocesso in D alla guida del Milan Futuro, dopo essere subentrato in corsa a Daniele Bonera.
Male Cannavaro e Gattuso in Croazia. Il primo esonerato, pur non avendo neppure cominciato la stagione, dalla Dinamo Zagabria, finita poi seconda. Il buon Gattuso ha invece perso pure lui il campionato nel rush finale, da manager dell’Hajduk Spalato, a vantaggio del Rijeka.
Non è andata affatto meglio in Serie A. Gilardino, dopo una buona prima stagione al Genoa, è stato rimpiazzato da Vieira, che quel 9 luglio del 2006 era uscito perdente dal campo. Nesta è stato prima esonerato poi richiamato al capezzale del Monza, per l’onore quantomeno di accompagnare la squadra all’ultimo posto in classifica fino a fine campionato.
De Rossi, anche lui dopo un buon impatto in corsa nella sua Roma nella passata stagione, è durato lo spazio di un mattino, sostituito da Ivan Juric, non uno della scuderia Lippi, ma discepolo di Gasperini. Curiosamente, nella prossima stagione, il Gasp allenerà la Roma, scelto da Ranieri che aveva dato il cambio al disastroso Juric, poi esonerato anche dal Southampton ultimo in Premier. Mentre lo stesso allenatore croato prenderà il posto del suo mentore a Bergamo.
Insomma, niente aria di novità all’orizzonte.
E, difatti, sarà proprio Rino Gattuso, che porta in dotazione tanta grinta e fallimenti tecnici, a prendere il posto di Spalletti alla guida degli Azzurri.
Prima di augurargli di vincere i Mondiali con la nostra Italia, dobbiamo andare per gradi. Recuperare il gruppo, valorizzare un vero ricambio generazionale, e portare gli azzurri in America.
Noi, così come gli altri 60 milioni di allenatori della nazionale, saremo qui a tifare per lui. Nonostante tutto.
Luca Sisto è cofondatore e direttore editoriale di Football&Life. Appassionato di sport, in particolare di calcio, basket e atletica. Tifoso del Napoli e della nazionale dei Leoni Indomabili del Camerun. Lavora nel turismo.
Immagine di copertina tratta da Wikipedia.



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